Virus certo, ma anche insetti e grandine. Senza dire delle questioni legate al lavoro da impiegare nei campi. Guardando a cosa sta passando l’agricoltura in questo periodo e spinti dall’emotività, si potrebbe pensare ai prodromi delle piaghe d’Egitto. Guidati invece dall’attenzione alle cose, ci si rende conto di come almeno una parte di quanto sta accadendo, e che l’agricoltura sta patendo, sia dovuta a mutamenti del clima e di ciò che, per brevità, va sotto il nome di globalizzazione. Che il clima stia cambiando è un dato di fatto, che i mercati siano globali anche, che occorra ancora più accortezza rispetto agli scambi, alla salubrità degli alimenti e alla correttezza delle tecniche produttive sono ormai necessità e non più opzioni. Su tutto, tuttavia, vale una considerazione che a molti ancora sfugge: la produzione agricola non si svolge al chiuso di capannoni ben costruiti e protetti. Si tratta di un particolare che proprio in questi giorni salta all’occhio a causa di alcuni fatti.
Oltre agli effetti provocati dalla pandemia virale (il blocco o le difficoltà degli scambi, i problemi del lavoro, il livello dei consumi), l’agricoltura d’improvviso s’è trovata a fare i conti con altri due problemi: il clima e gli insetti. Problemi noti, ovviamente, ma che uniti con quanto già si sta affrontando, danno bene l’idea della rischiosità e delicatezza della produzione agroalimentare.
Il clima, dunque. Secondo Coldiretti, che ha effettuato una rapida stima degli effetti dell’ondata di maltempo scatenatasi in questi giorni, i danni che il comparto ha sopportato sarebbero già di qualche milione di euro per effetto di terreni sott’acqua, alberi e vigneti divelti, frutti sbattuti a terra, semine perdute, teloni strappati con corsi d’acqua esondati, frane e smottamenti nelle campagne. Certo, la produzione agricola ha dalla sua un grande pregio che si chiama resilienza, ma i fatti parlano da soli. Accanto al caldo già torrido di alcune zone del mezzogiorno, nelle ultime ore è stata allerta meteo della protezione civile in Liguria e su alcuni settori di Piemonte, Lombardia, Veneto e Emilia-Romagna. “In Lombardia a Milano – dice una nota dei coltivatori -, un nubifragio ha provocato danni nei campi a sud del capoluogo, in particolare nelle risaie dove si stanno preparando le semine ma sono state allagate anche stalle e abitazioni rurali, mentre in Piemonte nella zona di Alessandria dove ha colpito la grandine si registrano danni a coltivazioni di ortaggi e vigneti”. Così in Puglia, dove alcune trombe d’aria hanno imperversato con raffiche di vento oltre i 25 nodi “strappando le ciliegie dagli alberi e spazzando teloni e tralci dei vigneti di uva da tavola”. E così anche in Sicilia, quando lo scirocco ha favorito il divampare di incendi con una ondata di calore che pare abbia sfiorato i 40 gradi.
Grandine e fuoco, quindi, e anche vento e pioggia torrenziale. Ma non solo. Perché in Sardegna sempre i coltivatori diretti hanno attirato l’attenzione su un’invasione di cavallette che, in provincia di Nuoro in particolare, sembra abbia devastato decine e decine di ettari di campi coltivati. Certo, c’è una spiegazione scientifica. L’inverno mite e la scarsità di pioggia con precipitazioni praticamente dimezzate – sottolinea sempre la Coldiretti –hanno favorito la comparsa di questi insetti in quantità talmente elevate da consentire loro di raggiungere anche i centri abitati e di infilarsi nelle case. Rimane tuttavia la sensazione di impotenza di fronte a migliaia di insetti che in poche ore possono azzerare interi raccolti.
E non è finita qui. Basta infatti ricordare il problema della Xylella degli olivi (tra l’altro non ancora completamente risolto), per rendersi conto di quanto si diceva all’inizio: i campi non sono fabbriche, le serre non sono capannoni forti e robusti, le stalle non sono ricoveri a prova di tutto. Insomma, tropicalizzazione del clima, pandemie, globalizzazione dei mercati sono tutte circostanze che sono lì per indicarci quanta attenzione dobbiamo porre, a più livelli e senza demagogie, nel maneggiare la natura.