di Alessio Magoga
“La vita si fa storia”. È questo il sottotitolo del messaggio di Papa Francesco per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, che si celebra domenica 24 maggio. Il Papa invita quanti sono impegnati nell’ambito dei mezzi di comunicazione a raccontare “storie buone”, che parlino del bello che ci abita e che ci aiutino a trovare una trama o un senso in quello che viviamo. In realtà, nel suo messaggio Papa Francesco rivolge il suo appello a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, non solo agli addetti ai lavori, perché il narrare e il raccontare “storie belle” è una capacità e un compito che riguarda ognuno di noi: non solo chi si occupa di comunicazione “per professione”.
Dal mio personale punto di vista, il messaggio di Papa Francesco quest’anno appare quanto mai opportuno, perché il momento che stiamo vivendo – il delicato passaggio dalla fase 1 alla fase 2 – è proprio quello giusto per “raccontare” quello che abbiamo sperimentato e per narrare le “storie” che ognuno di noi ha vissuto. Prima che ricominci tutto, nel modo che sarà possibile, e che tutto riprenda la velocità – se non addirittura la frenesia – di prima, è davvero necessario per ognuno di noi fermarsi e chiedersi – ed è bene farlo proprio ora – che cosa ha significato per me, per la mia famiglia, per la mia comunità… questo periodo segnato dall’emergenza del Covid-19. Abbiamo bisogno, un po’ tutti, di rielaborare quanto ci è accaduto. Sono tanti i punti da cui guardare quello che abbiamo attraversato e sono tutti importanti.
Senza dubbio hanno un peso importante anche gli aspetti di carattere economico e politico. Tuttavia ritengo che sia quanto mai urgente che ci poniamo la domanda ad un livello soprattutto umano e spirituale, intendendo questi due termini nella loro accezione più ampia. In questi due lunghi mesi di “quarantena” o di “lockdown”, in cui il lavoro si è fermato o è profondamente mutato e le relazioni e gli spostamenti si sono rarefatti, che cosa abbiamo vissuto? Che cosa abbiamo sperimentato? Che cosa abbiamo imparato? Abbiamo bisogno di trovare le parole per dirlo.
Abbiamo bisogno di comunicarlo e di raccontarlo a noi stessi, in primo luogo, e anche a chi ci sta vicino. Solo così la nostra vita si fa “storia” e il suo senso un po’ alla volta si chiarisce. Siamo usciti un po’ tutti come frastornati da questo tempo, in qualche modo confusi, come se fossimo stati colti di sorpresa e impreparati. Direi su quasi tutti i fronti. Anche quello ecclesiale e spirituale. Abbiamo lottato e sofferto, in molti casi abbiamo reagito e ci siamo dati da fare. In altri sono venute alla luce cose che ci hanno fatto star male o non ci sono piaciute. Ho sentito diverse persone dirsi frastornate e confuse, che sentono la necessità di rielaborare quanto hanno sperimentato. Ci manca ancora di prendere consapevolezza di quanto è accaduto. Dal punto di vista ecclesiale, nella nostra diocesi, questo percorso di riappropriazione dell’esperienza è stato avviato in vari modi, a cominciare dagli organismi diocesani. L’augurio è che progressivamente tale percorso coinvolga, quanto prima, anche le comunità parrocchiali. Numerose sono state anche le iniziative dei comuni, di organismi di volontariato ed istituzioni culturali che hanno promosso attività e iniziative per “raccontare” quanto ci è capitato: in molti casi hanno visto i bambini e ragazzi come protagonisti. Tale esercizio è bene che sia attuato anche dai più grandi. Anche L’Azione, dal suo canto, negli ultimi numeri, ha visto moltiplicarsi le “lettere al direttore”, intese forse come spazio e possibilità di racconto e di condivisione della propria storia (o di una parte di essa). Prima di ripartire, dunque, soffermiamoci un po’ tutti per mettere in chiaro che cosa, questo tempo di pandemia, ha significato per ognuno di noi. Troviamo le parole per dire la storia che ciascuno di noi ha vissuto. Sono sicuro che questo ci aiuterà ad affrontare e a vivere con più lucidità il prossimo futuro con le sue sfide.
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