Alberto Campoleoni
Un bell’articolo di Teresa Madeo, su Tuttoscuola – sicuramente una delle fonti più autorevoli nel panorama della riflessione scolastica-educativa – sosteneva nei giorni scorsi l’importanza di riportare a scuola i bambini, sottolineando come il problema sia tornare alla liberta di crescere e di essere tra pari, superando il “trauma” del lockdown. “Non andare a scuola – annota Madeo – non viene vissuto dai bambini come un evento positivo. L’assenza di socializzazione e, in alcuni casi, la mancanza di risorse tecniche per la didattica a distanza costituiscono un problema durante l’isolamento domiciliare”.
E’, questo, uno di quei punti dai quali partire per “guardare avanti”, cioè immaginare il futuro, anche scolastico, dopo il Covid 19, rialzando la testa oltre la linea dell’emergenza.
Infatti, se è vero che l’esperienza di questi mesi ci ha portato a valorizzare aspetti lasciati da parte e pur legati alla scuola, come le possibilità della didattica digitale, della formazione a distanza, insieme alla necessità di ripensare l’organizzazione scolastica e – soprattutto, verrebbe da dire – di valorizzare fortemente l’esperienza della scuola (quando una cosa viene a mancare la si avverte di più come importante), è anche vero che concentrarsi solo su queste cose, sia pure spinti dall’esigenza della sicurezza sanitaria, può far correre il rischio di stravolgere la visione, di dimenticare la questione cruciale, cioè il punto di vista dei più piccoli.
E qui Madeo usa parole provocanti, che vale la pena di riprendere: “La scuola è indispensabile per i bambini, perché rappresenta oggi l’unico reale laboratorio di contaminazione sociale e culturale, dove le diversità continuano a incontrarsi, a dialogare e a costruire insieme il proprio futuro”. La “catastrofe” Covid – insiste Madeo – non è uguale per tutti, piuttosto “ha scavato un solco profondo tra quei bambini che appartengono a famiglie benestanti e tutti gli altri destinati ad altre meno floride realtà. Non è vero che l’intero Paese ha fatto un balzo tecnologico e che tutti sono nelle condizioni di formarsi a distanza”. Moltissimi bambini non ce l’hanno fatta perché per accedere alla didattica a distanza “non basta possedere gli strumenti tecnologici, c’è bisogno di avere una casa con uno spazio, un luogo in grado di garantire l’attenzione e la concentrazione che la nuova situazione richiede. E c’è bisogno, forse ancora di più, di adulti che si prendano cura di loro”. E allora? La soluzione, secondo l’articolista di Tuttoscuola “dovrebbe essere non di tenere chiuse le scuole ma, semmai, di tenerle aperte 24 h su 24 e immaginare come farle funzionare, nel rispetto delle regole dettate dall’emergenza sanitaria. Apriamo nuove classi, recuperiamo lo spazio di cui abbiamo bisogno per stare insieme, benché distanziati; usiamo tutti gli spazi interni ed esterni della scuola; dividiamo le classi in piccoli gruppi, sfruttiamo il territorio, valorizzandolo e operando per un alto fine comune; impegniamo i bambini su una progettazione comune, di cui ogni gruppo si incaricherà, portando poi agli altri le scoperte e i risultati del lavoro svolto”.
Insomma, ripensiamo la scuola. Ma che sia scuola vera, cioè incontro, relazione, laboratorio sociale. Sarà possibile a settembre? Troveremo i “protocolli” opportuni?. Forse. L’importante è, ancora una volta, guardare avanti, non lasciarsi “addormentare” dalle necessità, sia pure urgentissime, dell’oggi. “Priorità è la scuola”, recita lo slogan di un comitato di docenti, insegnanti, educatori, già pronto a manifestare nelle piazze d’Italia. Potrebbe sembrare un programma di governo.
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