DIOCESI – Nel pomeriggio di domenica 14 giugno il Vescovo Carlo Bresciani ha celebrato insieme ai sacerdoti della Cattedrale di Santa Maria della Marina la Solennità del Corpus Domini. A causa delle misure di contrasto alla diffusione del coronavirus non si è potuta svolgere la tradizionale processione al termine della Santa Messa che si è conclusa con un momento di adorazione e con la benedizione eucaristica. Nonostante tutto la celebrazione è stata intensa, solenne e partecipata, limitatamente ai posti disponibili. Come in tante altre occasioni durante questi mesi, la celebrazione è stata trasmessa in diretta streaming sul nostro sito e dall’emittente televisiva VeraTv. Riportiamo il testo integrale dell’omelia del Vescovo Carlo.
«Celebriamo oggi una delle solennità a noi più care: la festa del Santissimo Corpo e Sangue di nostro Signore Gesù Cristo. Celebriamo la presenza viva di nostro Signore risorto in mezzo a noi attraverso il sacramento eucaristico. La festa ci rimanda, quindi, immediatamente alla continua presenza del Signore che accompagna incessantemente la sua Chiesa. Gesù non abbandona mai il mondo, né noi suoi fedeli. Questa verità ci è di conforto e di sostegno anche nei tempi difficili. Il cammino della nostra vita ha bisogno di un incessante nutrimento per la nostra speranza, sempre messa alla prova dalle difficoltà che inevitabilmente incontra.
Nel brano del Vangelo di Giovanni che abbiamo appena proclamato, Gesù usa il verbo “rimanere”: “chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui” (6, 56). Ci parla di un duplice ‘rimanere’: il nostro in lui e il suo in noi. Poi chiarisce subito che cosa significhi questo nostro ‘rimanere in lui’. Afferma, infatti: “colui che mangia me, vivrà per me”. Fa in tal modo riferimento al dinamismo di vita che il sacramento vuole operare in noi. Non si tratta di un rimanere statico, quasi corpo morto, ma di un rimanere attaccati alla fonte da cui si trae la vitalità cristiana. Gesù usa ripetutamente il verbo ‘rimanere’ anche nella parabola dei tralci e della vite (Gv 15, 1-7): il tralcio deve rimanere attaccato alla vite non come tralcio secco (e quindi morto), ma vivo. Ed è vivo se trae linfa dalla vite per produrre i frutti che sono propri della vite. In modo analogo, il nostro rimanere in Gesù deve trarre linfa vitale dalla sua vita, e questo lo si vede dai buoni frutti che tutto ciò porta. Non rimane in Gesù colui che porta frutti diversi dai suoi.
In tutto il brano del Vangelo Gesù parla di vita, di promessa di vita, non solo di vita personale, ma anche di vita “del mondo”: “la mia carne per la vita del mondo” (6, 51). Gesù non solo vuole donare la vita eterna a ciascuno di noi, ma vuole donare la vita anche al mondo, perché egli è venuto per salvare il mondo. L’eucaristia, quindi, porta in sé un invito per ciascuno di noi: prenderci cura della vita del mondo, proprio perché quella Carne e quel Sangue di Cristo sono donati a noi per la nostra vita e “per la vita del mondo”.
La tradizionale processione per le strade delle città e dei paesi che in questa festa avviene con il sacramento eucaristico è richiamo a questa verità: la vera vita del mondo scaturisce dal rimanere noi nel dinamismo che è proprio dell’eucaristia e dal portare frutti di carità per la vita del mondo. Che cosa può significare questo?
Stiamo uscendo da una prova che ci ha disorientato tutti. La pandemia, che è arrivata veemente, improvvisa e inaspettata, ci ha sconvolto tutti. Abbiamo fatto però una esperienza, che certamente è stata una prova dura per tutti, ma anche altrettanto salutare. Eravamo, e siamo, preoccupati per la nostra salute e addirittura per la nostra vita e sentiamo fortemente che salute e vita dipendono non solo dai nostri personali comportamenti, ma anche da quelli degli altri. Solo se tutti facciamo i sacrifici richiesti, solo se tutti ci sentiamo responsabili non solo di noi, ma anche degli altri, è possibile la vita di tutti. Questo non ci dice forse che siamo un corpo solo e che ciascuno di noi, membra di questo corpo, è responsabile della vita di tutto il corpo? Che la malattia contagiosa di un membro è minaccia reale per tutto il corpo?
Chi mangia del corpo di Cristo è chiamato a non vivere per se stesso (Rom 14, 7) e per le proprie singolari idee (talora magari veramente singolari). Nessuno può vivere da solo o solo per se stesso, come nessuno vive di solo pane. Ce lo ricordava il libro del Deuteronomio, che abbiamo letto come prima lettura. Tutti viviamo della capacità di ciascuno di farsi carico della responsabilità di sé e degli altri; in senso più ampio, addirittura del mondo. L’eucaristia è il corpo e il sangue di Cristo donati per noi e per il mondo. Per me e per il mondo, inscindibilmente. Non solo per me, ma per me perché anch’io, come Gesù, impari a vivere non solo per me, ma per gli altri. Solo così rimaniamo il lui e la sua vita sarà in noi e noi saremo portatori di vita al mondo. Durante la pandemia abbiamo fatto esperienza concreta che le chiusure egoistiche non hanno fatto altro che danni drammatici: non dalle chiusure su se stessi e sui propri immediati ed egoistici interessi viene la vita del mondo e la nostra stessa vita.
Carissimi, l’eucaristia è un grande dono che Gesù ci ha lasciato. Per questo adoriamo lui presente in questo sacramento, adoriamo la sua vita donata a noi e al mondo. Nell’adorazione chiediamo di rimanere in lui, di rimanere nel suo amore per portare frutti di carità per la vita del mondo.
Venerdì prossimo celebreremo la solennità del Sacratissimo cuore di Gesù: il suo cuore, nel suo immenso amore, abbraccia ciascuno di noi e insieme a noi tutto il mondo. È un cuore ferito dalla lancia, ma che non cessa di amare nonostante la crudele ferita. È ferita che viene tramutata in fecondità per noi e per il mondo.
Da quella feritoia aperta nel suo cuore scaturisce sangue che non richiama, a modo di vendetta, altro sangue; scaturisce per noi e per l’umanità intera la flebile e potentissima voce dell’amore che continua a risuonare nella flebile e potentissima voce dell’eucaristia. Vivere dell’eucaristia come Gesù ci ha detto, è rimanere e vivere di questo amore e in questo amore, senza del quale essa non è fonte della vita cristiana e neppure suo vertice. Se l’eucaristia non ci fa rimanere nell’amore di Cristo, il suo per noi e il nostro per il mondo, essa non dà vita né a noi né al mondo. È diventata per noi ramo secco che non unisce a Cristo e al suo corpo.
Nell’adorazione eucaristica noi contempliamo questo amore di Cristo e imploriamo incessantemente la grazia di imitarlo, sapendo quanto ne abbiamo bisogno e di quanta forza dello Spirito di Dio sia necessaria perché l’amore resti vivo anche nelle difficoltà.
Resta con noi, Signore, e fa’ che la linfa del tuo amore diventi sempre più il sangue che dà vita di carità alle nostre membra, a quelle della Chiesa e al mondo intero».