I discepoli hanno aperto le porte del cenacolo, si sono lasciati alle spalle il timore di essere scoperti, riconosciuti. Gesù li ha chiamati e inviati in missione; di più li istruisce e li prepara ad affrontare quanto li aspetta, prove e persecuzioni, perché andare in missione “non è fare turismo”, come ricordava Papa Francesco in un Angelus di tre anni fa. Li prepara e dice loro: non abbiate paura.
La memoria corre in piazza San Pietro, 22 ottobre 1978. San Giovanni Paolo II, da pochi giorni eletto 264mo successore di Pietro, celebra la messa di inizio pontificato: ha 58 anni il primo Papa straniero dopo 455 anni. Così pronuncia quelle tre parole: “non abbiate paura”; per tre volte, per chiedere di “aprire, anzi di spalancare le porte a Cristo”. Aprire “i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici”. Lui stesso dirà, all’indomani della caduta del muro di Berlino, che non sapeva dove lo avrebbero portato quelle parole, rimaste nella memoria del mondo. Quasi 27 anni più tardi, il 24 aprile 2005, Benedetto XVI ricorderà quelle tre parole per dire che il suo predecessore “parlava ai forti, ai potenti del mondo, i quali avevano paura che Cristo potesse portar via qualcosa del loro potere, se lo avessero lasciato entrare e concesso la libertà alla fede”.
Tempo difficile il nostro, in cui la paura è quasi compagna di viaggio; paura di perdere beni, paura alimentata dai media che mostrano sempre più spesso immagini di violenza e di morte; paura del Covid19. La pandemia, ricorda Francesco nelle parole che pronuncia dopo la recita della preghiera mariana dell’Angelus, che ha messo in luce “l’esigenza di assicurare la necessaria protezione anche alle persone rifugiate, per garantire la loro dignità e sicurezza”. Ma che ha fatto riflettere sul rapporto uomo-ambiente: “con la ripresa delle attività, tutti dovremmo essere più responsabili della cura della casa comune”.
Tempo difficile, tempo in cui la paura porta a alzare muri, a chiuderci nelle nostre pseudo sicurezze. Il Vangelo di questa domenica, invece, ricorda, con le parole di Gesù, l’invito a uscire, a non aver paura di dare testimonianza. Francesco sottolinea “tre situazioni concrete” che mettono alla prova il discepolo. La prima è “l’ostilità di quanti vorrebbero zittire la Parola di Dio, “edulcorandola, annacquandola o mettendo a tacere chi la annuncia”. Ma i discepoli dovranno “dire nella luce, cioè apertamente, e annunciare dalle terrazze, cioè pubblicamente, il suo Vangelo”.
La persecuzione è la seconda situazione con cui i discepoli devono fare i conti: “quanti cristiani sono perseguitati anche oggi in tutto il mondo. Soffrono per il Vangelo con amore, sono i martiri dei nostri giorni. E possiamo dire con sicurezza che sono più dei martiri dei primi tempi: tanti martiri, soltanto per il fatto di essere cristiani”. Non abbiate paura, dice il Signore: “uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima. Non bisogna lasciarsi spaventare da quanti cercano di spegnere la forza evangelizzatrice con l’arroganza e la violenza”. L’ unica vera paura è perdere “la vicinanza, l’amicizia con Dio”.
La terza situazione con la quale alcuni discepoli dovranno fare i conti è la sensazione “che Dio stesso li abbia abbandonati, restando distante e silenzioso”. Ma ecco che torna l’invito a non avere paura, perché, “pur attraversando queste e altre insidie, la vita dei discepoli è saldamente nelle mani di Dio, che ci ama e ci custodisce”.
Edulcorare il Vangelo, annacquarlo; la persecuzione, e la sensazione che Dio ci ha lasciati soli: ecco le tre prove. L’invio in missione da parte di Gesù non garantisce ai discepoli il successo, così come non li mette al riparo da fallimenti e sofferenze. Essi devono mettere in conto sia la possibilità del rifiuto, sia quella della persecuzione. Questo spaventa, ma è la verità, ricordava papa Francesco nel 2017, perché “non esiste la missione cristiana all’insegna della tranquillità. Le difficoltà e le tribolazioni fanno parte dell’opera di evangelizzazione”. Dio si prende cura di noi, “perché grande è il nostro valore ai suoi occhi”. Ciò che importa è la franchezza, è il coraggio della testimonianza di fede: “riconoscere Gesù davanti agli uomini” e andare avanti facendo del bene.