“Il cammino della pace in Sud Sudan è molto lungo e pieno di difficoltà. C’è un disincanto generale. La gente è contenta dell’indipendenza ma anche molto sconfortata rispetto alle difficoltà nella costruzione della nazione e dalla corruzione dilagante che parte dai politici e arriva fino alla base”.
Questa la testimonianza di suor Maria Martinelli, superiora provinciale delle suore missionarie comboniane in Sud Sudan, durante un webinar organizzato ieri da Caritas italiana. Suor Martinelli è in Sud Sudan da 12 anni. Le comboniane sono impegnate nell’ospedale di Wau e in tante missioni, nelle scuole, in attività parrocchiali e di educazione alla pace con giovani e donne. In molte località hanno facilitato interventi di “trauma healing” con persone che hanno visto uccidere i propri familiari o sono state costrette ad uccidere e hanno bisogno di sostegno per guarire dai traumi. Formano anche il personale locale. Il Coronavirus sul più giovane Paese del mondo che domani, 9 luglio, celebra i 7 anni dall’indipendenza, ha impattato poco, con 2.106 casi di positivi e 40 morti ma nessuna terapia intensiva. “Ma non sappiamo se sono dati giusti né quante persone vengono effettivamente testate – osserva la religiosa –. Anche perché finora c’è stata solo una macchina per i tamponi a Juba e risultano fatti solo 11.000 test in tre mesi. Non si può dire che siano numeri reali”. Anche le misure preventive “sono state copiate da altri Paesi ma non c’è stato nessuno sforzo per farle applicare”, che sotto un certo punto di vista è positivo “perché la gente vive di espedienti e altrimenti sarebbe morta di fame”. “La grande energia di sopravvivenza acquisita dal popolo li aiuterà – dice – ma fino a quando? Un Paese non può basarsi solo sugli espedienti della popolazione. Mi auguro che i passi fatti per la pace, con questo governo di transizione, abbiano successo. Ma bisogna prima tagliare le gambe alla corruzione. Poi dobbiamo lavorare con la gente, con le comunità e fare uno sforzo per aiutarli a credere nelle loro grandi capacità”.