Quella diffusa necessità di ripartire con una vita normale, possibilmente in forma più intelligente e con meno sprechi, ha bisogno di costruire un modello economico che non si può inventare in pochi mesi di emergenza. Tornare al “tutto come prima” può apparire più facile e più rapido rispetto alla sfida di “tornare meglio di prima”. Il Governo è impegnato in un Piano di rilancio che può contare su risorse interne e su prestiti a basso costo e flussi a fondo perduto dell’Unione europea. Di questo si sta discutendo a Bruxelles anche se formalmente il confronto è sul Bilancio Ue: quantità, ripartizione e controlli, quest’ultimo – come è noto – è un tema delicatissimo. Sul denaro che arriverà in forma gratuita, e ancor più sul denaro che arriverà in forma di prestito, i Governi hanno il dovere di non sprecare l’oggi e non indebitare il domani. A grandi linee il percorso seguito in Italia è quello del miglioramento delle infrastrutture, una miglior quantità e qualità della digitalizzazione, produzione e distribuzione di merci più ravvicinate a vantaggio dell’ambiente con minori sprechi energetici.
Il lunghissimo elenco di interventi su strade e ferrovie (auto e treno quindi) rimette in movimento il comparto delle costruzioni con un intervento talmente diffuso da non non scontentare nessuno. Riappare il ponte sullo Stretto ma solo come idea, più concreto l’intervento sulle ferrovie.
Per i privati ci sono buone opportunità di intervento sulla qualità delle abitazioni, con un superbonus conveniente per la prima e seconda casa (e anche per edifici adibiti ad attività sociali) purché i lavori permettano di guadagnare due livelli di qualità energetica del condominio. Il “tutti al chiuso” imposto dalla pandemia ha fatto emergere che la qualità delle connessioni internet può dividere la popolazione tra chi può fare telelavoro o studio a casa e chi si stacca dal gruppo per collegamenti inadeguati. La circolazione delle merci e delle persone è stato ed è un valore di civiltà, di collegamento storico fra i popoli e non può essere relegato a un turismo di poche ore o ai voli cargo carichi di ortofrutta più o meno esotica. Il “farm to fork” (la vicinanza della fattoria alla forchetta, la produzione vicina al consumo) impostato dall’Unione europea è un percorso di accorciamento delle distanze che descrive il futuro e non agricoltura nostalgica.
Con l’emergenza non ancora superata, l’Unione europea sta discutendo la sua casa comune, i conti di famiglia, che vincoli dare all’impressionante disponibilità di denaro messa in circolazione.
Alla fine i nodi sono quelli di sempre: se i soldi sono di tutti gli europei, i Governi e i Parlamenti nazionali ne possono disporre con discrezionalità totale? Se la crisi sanitaria ha colpito alcuni Paesi più di altri quanto sforzo deve essere fatto per rimetterli a camminare? Se nella casa comune europea tutti hanno il diritto di veto si resta bloccati? È corretta la concorrenza fiscale tra gli abitanti dello stesso condominio?
Nella girandola di incontri di queste ore fra i capi di Governo si discute di tanti miliardi di euro ovviamente. Ognuno tira il suo pezzo di coperta per non apparire debole agli occhi degli elettori nazionali e per garantirsi il massimo delle risorse per una fase di rilancio meglio gestibile.
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