“La violenza non è affatto sotto controllo a Cabo Delgado”. I gruppi armati continuano a imperversare nei villaggi settentrionali della costa mozambicana, “terrorizzando centinaia di famiglie in modo barbaro e senza scrupoli, armati di coltelli, machete e kalashnikov”. E il timore è che possano spostarsi ancora, scendendo verso sud. A parlarcene, da Nampula, è suor Laura Malnati, superiora regionale delle missionarie Comboniane in Mozambico, che confessa un grosso dubbio: seguendo la rotta dei giacimenti di gas “i terroristi, che non chiamerei jihadisti – dice – ma piuttosto persone interessate alle ricchezze del sottosuolo, potrebbero spingersi verso Pemba e ancora più giù”. A quel punto sarebbero incontrollabili.
Terra ambita dalle multinazionali. L’emergenza attuale in Mozambico riguarda anche “gli sfollati interni, oltre seimila persone fuggite dal porto di Mocimboa da Praia e giunte nella provincia di Nampula e a Balama, sempre a Cabo Delgado”. Dove sorge pure la miniera di grafite più grande del Paese. Storicamente Cabo Delgado è considerata la roccaforte della guerra di liberazione contro i portoghesi nel 1975; dal 2010 è la terra più ambita dalle multinazionali, poiché è diventata il maggior deposito di gas naturale del Mozambico. In particolare, da quando è stato scoperto il giacimento di Rovuma, nelle acque profonde dell’Oceano indiano.
L’accaparramento della terra. Un recente dossier della onlus Friends of the Earth spiega tutte le connessioni tra le industrie francesi e i giacimenti di gas. Da questa terra ricca gli abitanti fuggono costretti con la forza a lasciare un luogo “che scotta”: “Si tratta di una forma di violento land grabbing, accaparramento della terra”, sostengono diversi analisti e confermano le missionarie. Le suore comboniane si stanno adoperando da settimane per accogliere gli sfollati: “Operiamo su due fronti – afferma suor Laura –: una nostra comunità è presente a Balama, dove ci sono 1.200 sfollati, e noi stiamo distribuendo zucchero, riso e altri alimenti; da pochi giorni anche le coperte, perché inizia la stagione fredda”.
Un progetto concreto. L’altra comunità di comboniane è a Nampula, la provincia dove si sono riversati più rifugiati interni. “Assieme a padre Davide Guidi, nella parrocchia di Santa Cruz, abbiamo iniziato una distribuzione capillare di viveri”, racconta. Il progetto è quello di avviare un programma di microcredito per dare alle donne la possibilità di produrre da sé biscotti o piccoli oggetti in stoffa con la capulana, la tela tradizionale africana. “Questi gruppi reclutano giovani disoccupati in cerca di soldi facili – precisa suor Laura e conferma suor Rita Zaninelli, sua consorella a Nampula –. Una volta capito che il loro compito è uccidere, i ragazzini tentano di sottrarsi alle bande armate, a quel punto li fanno sparire, non tornano più a casa”.
Anche i militari scappano. La storia della violenza settaria in Mozambico ha avuto inizio tre anni fa, ma si è intensificata negli ultimi sei mesi. I terroristi si sono dati un’etichetta islamista, ma hanno ben altri scopi, dicono i missionari e lo conferma il vescovo di Pemba, mons. Luiz Fernando Lisboa, in diverse interviste. Si fanno chiamare con nomi che riecheggiano altri grandi gruppi islamisti (Ahlu Sunnah Wa-Jammá) ma poco c’entrano con la religione. La loro strategia è “cacciare gli abitanti dalle terre sotto scacco, perché ricche di giacimenti di gas e anche di pietre preziose”. Il distretto di Montepuez è ricco di rubini, ad esempio. L’ulteriore problema del Mozambico è che l’esercito interviene in modo sporadico e non risolutivo: molti militari sono giovanissimi e non sono formati per affrontare un simile pericolo. “La gente ci racconta che i soldati scappano assieme a loro – conferma ancora la superiora delle comboniane –, sono ragazzini e sanno che, se non scapperanno, verranno uccisi”.