Vatican News – Giancarlo La Vella e Andrea De Angelis
Ieri è stata la Giornata Mondiale della Giustizia Penale Internazionale. La data ricorda l’adozione da parte dei Paesi dell’Onu dello Statuto della Corte Penale Internazionale. Il voto avvenne il 17 luglio 1998 presso la Fao, a Roma, al termine di un lungo e serrato dibattito, dopo il quale la maggioranza degli Stati optò per la creazione di un tribunale permanente compretente per reati internazionali, quali il genocidio, i crimini di guerra e contro l’umanità. A queste figure delittuose venne poi aggiunto anche il reato di aggressione. Lo Statuto è entrato in vigore il 1º luglio 2002 contestualmente alla ratifica da parte del sessantesimo Stato. Sono 123 i Paesi aderenti, ma non vi fanno parte protagonisti importanti del panorama internazionale come gli Stati Uniti, la Cina e la Russia.
Già prima della nascita della Corte Penale, la comunità internazionale dette vita a due Tribunali ad hoc per l’ex Jugoslavia e per il Ruanda, che hanno fatto luce sulle più assurde atrocità della storia recente. Essi rappresentano una sorta di prova generale di quella che poi sarà la Corte Penale. Il primo è stato un organo dell’Onu col compito di perseguire i crimini commessi nell’ex-Jugoslavia nei primi anni ’90. Tra i tanti persnaggi a giudizio, nomi tristemente noti come Slobodan Milošević, presidente della Serbia e della Federazione jugoslava, accusato di crimini in Croazia, Kosovo e Bosnia Erzegovina, Radovan Karadžić, capo politico serbo-bosniaco e presidente della Repubblica serba di Bosnia ed Erzegovina, e Ratko Mladić, comandante dell’esercito serbo-bosniaco. Il Tribunale Penale per il Ruanda, istituito nel 1994, con sede ad Arusha in Tanzania, fu invece chiamato a giudicare i responsabili del genocidio etnico ruandese e altre violazioni dei diritti umani commessi sul territorio del Paese africano dal 1º gennaio al 31 dicembre 1994. Fu consentito anche ai giudici nazionali di aprire processi contro cittadini ruandesi responsabili, che si fossero trovati in altri Stati. Ciò è avvenuto in Belgio, in Francia e in Svizzera.
Da 22 anni la Corte Penale Internazionale continua il lavoro su casi di genocidio, crimini di guerra e contro l’umanità, e aggressione. Atti, che per il contesto in cui avvengono non potrebbero mai essere giudicati da corti locali. Ma lo scopo principale della giustizia penale internazionale, secondo Luciano Eusebi, ordinario di Diritto Penale alla Università Cattolica di Milano, è quello di riportare nei giusti binari i rapporti tra gli Stati e all’interno di essi sulla base di un condiviso giudizio di verità. Alla base dell’attività della Corte c’è la tutela dei diritti umani in tutta la loro pienezza.
Soprattutto in questo periodo di pandemia, afferma il docente, c’è il rischio che la pressante emergenza sanitaria globale faccia passare in secondo piano le prerogative fondamentali della persona, soprattutto dei più deboli e socialmente indifesi, come poveri e anziani. Di fronte all’inattività degli Stati è dunque opportuno che vi siano organi di giustizia sovranazionali, che tutelino queste persone, nei confronti delle quali l’inefficacia e la mancanza di programmi di governo si tramuterebbero in veri e propri soprusi.