La scorsa settimana abbiamo lasciato il seminatore tutto intento nella sua semina, una semina, dicevamo, abbondante, senza misura.
«Ma – leggiamo nel Vangelo di questa domenica – mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò».
Due seminatori, due semine diverse, due semi diversi ma lo stesso terreno che li accoglie, li vede riposare e poi germogliare.
Infatti, «quando lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania» insieme con il grano.
Cos’è la zizzania? E’ il nostro limite, la nostra imperfezione, le nostre fragilità, il male che nasce e cresce dentro di noi quando il bene è stanco, dorme, quando subisce l’abitudine, quando smarrisce lo slancio dell’innamoramento.
Qual è la nostra reazione di fronte a questa realtà, di fronte al nostro campo di grano invaso dalla zizzania? Sicuramente la stessa che hanno avuto i servi del Vangelo: la richiesta al padrone del campo di andare subito ad estirpare la zizzania.
Perché nella profondità della nostra anima vi è la tendenza a liquidare tutti i nostri lati imperfetti, a nasconderli, ad occultarli, a togliere di mezzo il male a volte con radicalità o a renderlo comunque innocuo per far sì che nulla possa minacciare quel po’ di bene che, con fatica, cerchiamo di coltivare.
«No!» è la risposta del Signore! I nostri limiti, le nostre fragilità non sono da eliminare, da soffocare, da occultare, ma da far venire alla luce e riconoscere. Occorre, cioè, saper pazientare con tutti quegli aspetti della nostra vita che non sono così buoni come vorremmo.
Una pazienza, quella che Gesù ci insegna, che non significa lasciar perdere, o non vedere, o far finta di nulla. Quello che Lui ci chiede è di non diventare nemici e combattenti di noi stessi. Certo, occorre avere il senso del peccato, non possiamo far passare per buono quel che buono non è, ma non dobbiamo cedere al nostro senso di colpa. Perché la zizzania, la parte oscura delle buone qualità che portiamo in noi, se ci pensiamo bene, è quell’ombra che dà profondità alla nostra luce. Senza ombre non si può percepire la profondità della luminosità e della lucentezza del reale. Una vita senza ombre è una vita piatta, mentre quella che sa armonizzare le ombre è una vita profonda, una vita che sa portare le ombre per far risaltare la luce che contiene in sé.
«Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: “Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano, invece, riponetelo nel mio granaio». Lasciar crescere grano e zizzania e affidare a Dio il giudizio su entrambi. E sappiamo bene, ma la prima lettura tratta dal libro della Sapienza ce lo ricorda, che Dio giudica con mitezza, con indulgenza, con amore e ci apre sempre alla speranza.
Allora non affanniamoci contro il male, la lotta è impari, ma proviamo a far bene il bene, puntando tutto sulla misericordia e non sul giudizio.
E qual è il miracolo quando ci riconosciamo così? Quando smettiamo una volta per tutte di farci la guerra e lasciamo che sia il Signore la Parola di vita nella nostra vita? Un granello di senape, il più piccolo di tutti i semi, diventa la più grande di tutte le piante dell’orto. Una piccola dose di lievito, mescolata alla farina, fa lievitare tutta la massa.
E’ lo Spirito, ci dice San Paolo, che continuamente viene in aiuto alla nostra debolezza. Affidiamola a Lui e con Lui cantiamo, davanti al Signore, la grazia che siamo ai suoi occhi!
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