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C’è un futuro per la famiglia?

Andrea Casavecchia

Assistiamo a una forte trasformazione della famiglia che cambia radicalmente le sue forme e le sue modalità espressive. Il recente Rapporto Cisf 2020, intitolato in modo significativo “La famiglia nella società post-familiare”, ne mette in evidenza alcune. I dati evidenziati rilevano che il 60% dei nuclei familiari è composto da single o da due componenti; avvisano che, tra circa 20 anni, a causa dell’invecchiamento della popolazione le coppie con figli diminuiranno di un altro milione: passeranno dai 9 milioni attuali a 8 milioni. Questo ovviamente senza considerare i mutamenti valoriali – es. la “volontà di costruire famiglia” – che porterebbero la previsione a un calo di un ulteriore milione. Secondo i dati della ricerca dai giovani intervistati emerge una scarsa propensione a sposarsi: il 36% non mette il matrimonio tra le scelte future e il 24% non vorrebbe avere figli.
Il risultato che emerge è una famiglia “dimagrita” e meno considerata tra i desideri delle nuove generazioni, tanto che ci si chiede se si stia “evaporando”, se ci si stia dirigendo verso una società “post-familiare”.
Proprio negli stessi giorni l’editoriale della rivista La Civiltà Cattolica evidenzia: “Essere famiglia è diverso oggi rispetto al passato. … Osserviamo il calo del numero dei matrimoni e una privatizzazione del vivere insieme; assistiamo a una forte pluralizzazione delle tipologie di coppia e alla riformulazione del rapporto tra i generi. Vivere insieme significa scegliere costantemente di rimanere in una relazione impegnativa, ma meno vincolata del passato; significa costruire modelli decisionali e rapporti di potere in relazioni asimmetriche non scontati nella vita a due”.
In questo contesto c’è un futuro per la famiglia? Forse bisognerà preparare un passaggio: la famiglia non è più riconosciuta come naturale, non si può dare per scontata. Si costruisce nella relazione.
Il sociologo Pierpaolo Donati, curatore del Rapporto Cisf, evidenzia che bisognerebbe iniziare a proporre e immaginare una “famiglia sostenibile” per conservare il suo valore relazionale che offre un apporto unico e insostituibile alla società. Per questo non è più sufficiente, seppur necessario, un welfare a misura di famiglia, ma un intervento che promuova il “genoma” costitutivo della famiglia che si compone di dono, reciprocità, sessualità di coppia e generatività: una combinazione capace di produrre beni relazionali che contagiano e promuovono socialità al di fuori dei confini del singolo nucleo familiare. Una famiglia sostenibile, allora, potrà continuare a essere motore per la comunità.

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