Una vicenda ancora tutta da chiarire, soprattutto per stabilire esattamente chi e perché si è infiltrato nel server e nella rete della Santa Sede. L’attacco informatico è stato scoperto da una compagnia privata di monitoraggio del web, “Recorded Future”, con base a Somerville (Massachusetts). La notizia appare oggi anche sul sito del settimanale della diocesi cattolica di Hong Kong “Examiner” in cui si fa sapere che l’attacco è partito dalla Cina ed avvenuto attraverso un “malware”: abbreviazione per malicious software, che significa letteralmente software malintenzionato. Il “malware” nella sicurezza informatica, indica un qualsiasi programma informatico usato per disturbare le operazioni svolte da un utente di un computer.
Secondo quanto riportato dal settimanale “Examiner”, gli hacker cinesi sono riusciti ad entrare, con questo metodo, non solo nei server vaticani ma anche nei computer della diocesi di Hong Kong, della Holy See Study Mission di Hong Kong ed “in altre organizzazioni cattoliche”. Il settimanale riporta nell’articolo anche una dichiarazione di mons. Javier Herrera Corona, capo della Missione di studio della Santa Sede di Hong Kong. Il rappresentante vaticano afferma che la sua istituzione ha vissuto una lunga storia di attacchi informatici, tra cui truffe ed e-mail fraudolente, ma dice anche di non avere prove di un “attacco specifico” come asserito da Recorded Future. L’unica cosa certa è che si è trattato di un “malware” nascosto in un’e-mail inviata a lui da un funzionario vaticano. Monsignor Herrera – sempre secondo quanto riporta oggi l’Examiner – ha rifiutato di commentare l’impatto che le accuse di hackeraggio potrebbero avere sul possibile rinnovo dell’accordo del Vaticano con Pechino. Fa poi osservare chela Santa Sede “non discute informazioni relative ai negoziati attraverso canali elettronici”, facendo quindi capire che “il danno causato da qualsiasi violazione sarebbe limitato”.
La Holy See Study Mission a Hong Kong è considerata una delle missioni più strategiche del Vaticano nel mondo: agisce da ufficio di collegamento con le diocesi cattoliche nelle 33 province della Repubblica popolare cinese. Dal momento che il Vaticano non ha ancora stabilito rapporti diplomatici con la Cina, non ha una nunziatura a Pechino. Si è quindi pensato agli inizi degli anni ’90 di mettere una persona ad Hong Kong, legato alla nunziatura di Manila ma residente in città e quindi il più vicino possibile alla Cina. Si tratta sostanzialmente di un “one man office”, con persone che aiutano ma solo part time e per lo più per lavori di segreteria e traduzioni da e per il cinese.
Hong Kong gioca quindi un ruolo strategico nei rapporti tra Roma e Pechino. C’è stato in passato un forte scambio di contatti tra la diocesi di Hong Kong e la Cina, soprattutto a livello formativo, con professori del seminario di Hong Kong che regolarmente si recavano in Cina per aiutare nella formazione di seminaristi nei seminari. Ancora oggi ci sono preti che vanno e vengono dalla Repubblica popolare cinese dove tengono esercizi spirituali per il clero locale. Non bisogna poi dimenticare le tantissime congregazioni religiose, maschili e femminili, che in Cina hanno istituti e raccolgono vocazioni.
Cosa stava cercando Pechino? “Non saprei dirlo”, dice una fonte ad Hong Kong, interpellato dal Sir. “L’hackeraggio è purtroppo un sistema molto diffuso per qualsiasi motivo e a qualsiasi livello, al di là della Chiesa cattolica. Si va dal furto di ricerche scientifiche a raccolte di dati finanziari su ditte. Per il Vaticano probabilmente l’ipotesi più semplice da fare è che cercassero di capire quali sono le posizioni all’interno della Chiesa cattolica nei riguardi della Cina, di verificare se c’è una posizione unitaria e come spesso avviene, individuare anche le posizioni dei singoli individui coinvolti in vario modo. Insomma, raccogliere tutte le informazioni possibili per studiare la strategia da seguire nei contatti con il Vaticano”. La vicenda comunque – se fosse confermata nella sua portata – farebbe emergere sostanzialmente una mancanza di fiducia. “Se il Vaticano e il governo cinese vogliono un dialogo sincero, lo devono costruire sulla fiducia gli uni verso gli altri.Essere controllati tramite attacchi hacker dimostra che questa fiducia nei riguardi del Vaticano, purtroppo non c’è”.