Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano da vaticannews
75 anni dopo la fine del secondo conflitto mondiale e a 70 dall’inizio della guerra di Corea, dal 1950 al 1953, data conclusa con l’armistizio di Panmunjeom, la speranza è sempre la stessa: che si raggiunga la pace, che si metta fine alla guerra, perché il rischio è ancora oggi presente. Per questo ogni anno, la domenica che precede l’anniversario del 15 agosto, giorno della liberazione della Corea dall’oppressione giapponese, ma anche giorno della divisione tra Nord e Sud, i cristiani tutti sono invitati dal Consiglio ecumenico delle Chiese a unirsi in preghiera per la pace e per la riunificazione della penisola coreana. L’impegno ecumenico per un’apertura del dialogo tra Seul e Pyongyang, negli anni, è stato scandito da vari momenti: si va dal primo incontro ufficiale con la Federazione delle Chiese coreane, alla risposta umanitaria alla carestia dei primi anni 90, alle prese di posizione sul disarmo nucleare.
Una divisione che chiede preghiera e solidarietà
Lo scorso giugno, in occasione dei 70 anni dall’inizio del conflitto, è stato letto un messaggio ecumenico di pace dai rappresentanti delle Chiese cristiane, in cui si ricordava il “conflitto spaventosamente distruttivo”, dopo il quale nessun trattato di pace è mai stato raggiunto, e in cui si chiedeva un’immediata dichiarazione formale sulla fine della guerra in Corea e rapidi passi verso l’adozione di un trattato di pace per sostituire l’armistizio del 1953. Parole importanti e drammatiche, che però erano state precedute, solo qualche giorno prima, dall’esplosione, prodotta dai nordcoreani, dell’ufficio di collegamento con la Corea del Sud, a Kaesong. Questa divisione è una delle grandi sfide politiche e spirituali dei nostri tempi, ha sempre ripetuto il Consiglio ecumenico delle Chiese, e la preghiera dei cristiani, da entrambi i lati del confine, è un importante atto di solidarietà per tutti e due i popoli.
L’ecumenismo rafforza i cristiani coreani
“La presenza in spirito di preghiera delle Chiese che fanno parte del Consiglio ecumenico delle Chiese è una cosa estremamente importante, anche per come è il contesto ecclesiastico coreano, dove il Cristianesimo è in un periodo di crescita, di fioritura, anche in spirito ecumenico”, spiega Michel Charbonnier, membro del Comitato centrale del Consiglio ecumenico e pastore nella Chiesa valdese di Torre Pellice. Il vento dell’ecumenismo, secondo Charbonnier, “soffia forte in Corea del Sud e, quindi, “il fatto che le Chiese, da una parte, tengano accesi i riflettori su questa ferita, su questa necessità di riconciliazione, e dall’altra facciano sentire la loro presenza ed elevino la loro preghiera, perché in Corea il terreno è fertile, ha un valore per i credenti, per i fedeli coreani” che in questo modo sanno che “l’Ecumene, in qualche modo, è con loro, nella loro sofferenza da una parte, ma anche nei loro sforzi di riconciliazione dall’altra”
La preghiera, cuore dell’essere cristiani
Molte quindi le iniziative ecumeniche per tenere accessi i riflettori sulla Corea, come l’aver organizzato l’ultima assemblea del Consiglio ecumenico delle Chiese, a Busan, nel Sud, nonché il pellegrinaggio ecumenico per pregare al confine tra le due Coree, luogo altamente simbolico, testimonianza della pluridecennale ferita. La promozione della pace e del disarmo, in particolare di quello nucleare, è sempre stata una priorità per il Consiglio ecumenico delle Chiese. Charbonnier lo sottolinea, spiegando come, mai come in questo momento, “sia da continuare e da rilanciare, perché un ritorno agli armamenti, un ritorno al nucleare, è sempre dietro l’angolo”. L’invito è, perciò, ad unirsi in preghiera per la pace, per la riunificazione, per abbattere il muro di odio e diffidenza, per promuovere una cultura di riconciliazione e solidarietà. Tutto questo “in spirito di preghiera”, perché, conclude il pastore valdese, “occorre ricordarsi che anche la preghiera è un luogo fondamentale, è il cuore del nostro essere cristiani”, e quindi “ben venga se il Consiglio ecumenico delle Chiese ci aiuta a reimparare questa pratica, questo respiro comune della preghiera della Chiesa”, in Corea, così come in tanti altri luoghi del mondo.