DIOCESI – La parola più semplice e più scomoda di tutta la Scrittura ci viene proposta oggi. Una parola che possiamo riassumere in un solo termine che ci mette sempre in crisi, in discussione, che, cristianamente parlando, non ci fa mai dormire sonni tranquilli.
…l’altro…colui del quale il Signore ci dice “non il diverso da te, non il lontano da te, non lo sconosciuto a te, ma il fratello, colui che cammina sulla tua stessa strada, che condivide la tua stessa strada”.
L’altro…colui che mi è scomoda perché mi ricorda che non sono il solo o la sola a questo mondo.
La Parola di questa domenica è martellante in questo senso.
Comincia il profeta Ezechiele a cui Dio rivolge queste parole: «Se io dico al malvagio: “Malvagio tu morirai” e tu non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta, egli, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te».
C’è una responsabilità che il Signore chiede a ciascuno di noi, il sentirsi responsabili del fratello, della sua vita, delle sue azioni, quella responsabilità che ci porta a vedere l’altro come qualcuno di cui aver cura, come quel qualcuno a cui rivolgere sempre la stessa domanda che Dio rivolse all’uomo nel giardino di Eden: «Dove sei?». Una domanda non inquisitoria ma che tira fuori la vera preoccupazione per chi ci è accanto, che ci sollecita ad allargare lo sguardo, a non auto centrarci ed a prendere consapevolezza che la vita, in ogni suo aspetto, è tale perché ci chiama alla relazione.
San Paolo nella Lettera ai Romani scrive: «Fratelli, non siate debitori di nulla a nessuno se non dell’amore vicendevole, perché chi ama l’altro ha adempiuto la Legge».
A nessuno di noi piace essere in debito nei confronti di qualcun altro, essere debitori di qualcosa.
Eppure, è questa la condizione di vita che il Signore ci chiede: riconoscere sempre di non amare a sufficienza, di non spenderci a sufficienza per l’altro.
Perché è l’amore l’unica Legge a cui il Signore ci chiede di obbedire, perché è l’amore la sostanza di ogni nostro giorno, perché “quanto hai amato?” il Signore ci domanderà e non quanto siamo stati bravi ragazzi o brave ragazze, bravi fedeli o pii devoti.
E per l’altro occorre spendersi fino all’estremo. Leggiamo nel Vangelo: «Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano o il pubblicano».
Tutto questo non perché siamo possessori della verità e dobbiamo convincerne l’altro…no…solo in virtù di una parola: fratello. Solo perché l’altro è mio fratello. E mio fratello ha bisogno della mia cura, ed io ho bisogno di prendermi cura del fratello.
Il Signore ci chiede di investire in fraternità, perché, ce lo dice Lui stesso, il fratello è un guadagno, un bene prezioso per me e per tutti. Egli ci chiama a pensare sempre in termini di “noi” e non di “io”, perché non è la verità che ci legittima ma la fraternità.
«Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».
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