DIOCESI – Sabato prossimo, 19 settembre, alle ore 21, presso la cattedrale Santa Marina della Marina, è in programma una cerimonia per l’ordinazione di Natale Flaviano Marinozzi al Diaconato Permanente. Lui, comunemente chiamato Natalino, è nato a Montemonaco nel ’63. Sposato, ha due figlie, vive a Comunanza ed è un agente di Polizia. Lo abbiamo intervistato per conoscere meglio la sua vita ed il suo percorso di fede. Assegnato al Distaccamento Polizia Stradale di Amandola nel luglio 1984, nello stesso ufficio ha ricoperto per sette anni il ruolo di vicecomandante.
Da sempre, ha intrapreso un cammino di fede e, dal 2013, è stato nominato responsabile Caritas delle Parrocchie di Comunanza e Montemonaco, coordinando un gruppo di volontari che, attualmente, assiste circa 350 persone indigenti, distribuendo alimenti, frutta fresca e vestiario. Dal 2014 ha iniziato un percorso di formazione con la nostra Diocesi e, contemporaneamente, ha frequentato l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Ascoli Piceno; ai fini della formazione al Diaconato Permanente. E se gli chiedete se l’ambiente e l’amministrazione della Polizia di Stato abbia contribuito positivamente alla sua vocazione, la risposta è netta: «Senza alcun dubbio sì! In quanto nessuno in questo lungo periodo ha ostacolato il mio servizio di volontario o scoraggiato la mia fede con critiche o altri atteggiamenti ostili, ma sono sempre stato incoraggiato e messo in condizioni di poter operare, da tutti i colleghi, comandanti e funzionari che o incontrato nell’arco di questo lungo periodo. Pertanto la mia vocazione al servizio Caritas e Diaconato è passata per la mia famiglia e per La Polizia di Sato, che mi sento di ringraziare profondamente».
«E’ mio desiderio – prosegue Marinozzi – dedicare questa consacrazione alla Polizia di Stato, ringraziando il nostro Santo patrono: San Michele Arcangelo, per avermi custodito. Inoltre, è mio desiderio e grande onore poter invitare alla mia ordinazione di sabato prossimo tutti gli appartenenti alla Polizia di Stato, compresi i colleghi in quiescenza e gli aderenti all’Associazione Nazionale della Polizia di Stato».
Ci racconta, sinteticamente, com’è avvenuto il suo cammino vocazionale che la sta portando al Diaconato Permanente?
«Oltre che dalla fede che mi è stata trasmessa in famiglia, in particolare da mia madre, è iniziato tutto nel 1987. Con altro collega poliziotto, ci eravamo interessati alle apparizioni mariane tanto da effettuare delle ricerche in una cartolibreria cattolica. In quei tempi in cui Internet non esisteva, trovammo due voluminosi libri. Indecisi su quali prendere, alla fine li prendemmo entrambi. Ricordo che uno aveva l’introduzione firmata dall’allora cardinale Ratzinger. Da lì, è iniziata una voglia di documentarmi sulle grandi domande che riguardano l’uomo. I grandi quesiti della vita: “Chi siamo?” “Dove siamo diretti?”. Il mio percorso di fede si è andato via via arricchendo. All’inizio degli Anni Novanta, mi era stato chiesto di partecipare al Movimento dei “Cursillos di Cristianità“.
Non ho risposto subito in maniera positiva. Il desiderio di aderire a quella chiamata mi è arrivato qualche mese dopo, durante un pellegrinaggio a piedi “Macerata-Loreto”. In piena notte, durante il momento più duro del cammino, ho avvertito il desiderio di aderire alla chiamata, così ho contattato Don Gabriele Silvestri, chiedendo cosa potessi fare. Dopo più di 10 anni all’interno del Movimento, mi sento di ringraziare le generazioni che hanno più anni di me, perché mi hanno letteralmente preso per mano. Così, tra riunioni, catechesi e corsi di formazione, mi sono reso conto di una cosa importante: che la Fede non solo è un fatto individuale, ma diventa particolarmente bella nei momenti di convivialità. Nella mia esperienza di Fede, c’è stato anche un intenso confronto con un monaco benedettino, con cui settimanalmente approfondivo la Lectio divina. Quell’esperienza mi ha fatto innamorare della bellezza della Parola. Poi, per quasi trent’anni, ho organizzato comitive per partecipare al pellegrinaggio “Macerata-Loreto”. Più recentemente, tra il 2011 ed il 2012, insieme ad altre persone ci siamo costituiti in un’associazione che ha come guida spirituale il diario di Santa Faustina. Lo diffondiamo insieme agli insegnamenti di Madre Speranza, in un’opera concreta che va a supporto, in particolare, delle famiglie disagiate dell’entroterra. Un’assistenza materiale che coinvolge anche enti come il Banco delle Opere di Carità o il Banco Alimentare».
Com’è stata la sua esperienza all’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Ascoli?
«Un’esperienza molto molto positiva, mi sono reso conto di quanto sia bello attingere alla cultura. Anzi, sono piuttosto rammaricato che quell’istituzione sia, oggi, uno scrigno nascosto per pochi: molto bella ma non molto conosciuta. Ho svolto un percorso di studi triennale e, dopo la pensione, devo dire che mi piacerebbe continuare, completando il quinquennio con ulteriori 2 anni di approfondimento. Devo dire che all’inizio ero un po’ intimorito dalla mole di studio e dalla complessità di certe materie, ma il vescovo mi ha stimolato a realizzare tutto il percorso triennale e di questo lo ringrazio».
In qualità di agente di polizia, sicuramente toccherà con mano gli eccessi della movida che, spesso, caratterizzano il nostro territorio. Un problema sociale, che interessa soprattutto le famiglie. Cosa si sente di dire a riguardo?
«Vengo da un’esperienza di polizia vissuta per 35 anni in maniera attiva, sulla strada. Devo dire che i giovani d’oggi mi piacciono. Presi singolarmente, sono il contrario di quello che vediamo quando sono in gruppo. Nella nostra zona, ogniqualvolta ho contestato un infrazione a un ragazzo, non ho mai riscontrato da parte sua manca di rispetto o atteggiamenti negativi. Poi, certo, nel mio lavoro molto è importante rapporto umano, al “tu per tu”. Ci vuole fermezza ma anche rispetto dell’altro. Al giorno d’oggi i giovani soffrono il disagio familiare e sociale che stiamo vivendo. Purtroppo si stanno sgretolando valori cardine della nostra cultura. Questo dolore, a mio avviso, immergere i ragazzi in una nebbia incredibile. A ciò s’aggiunge la difficoltà di realizzarsi: trovare un’occupazione nella quale sentirsi realizzato è sempre più un’utopia per le nuove generazioni, anche a causa dell’eccessivo progresso tecnologico che vedono sempre più le macchine sostituirsi all’uomo. Dunque, tutto mi sento tranne che additare i ragazzi. Anzi, noi adulti dobbiamo capire dove abbiamo sbagliato per arrivare a questo punto. Sono tante le problematiche che ci hanno portato a questo negativo cambiamento e qualcuna ha radici antiche. Basti dire che alcune teorie “Gender” hanno visto i loro primi spiragli addirittura a prima della Rivoluzione Francese»
Mentre come responsabile Caritas delle Parrocchie di Comunanza e Montemonaco avrà sicuramente affrontato delle situazioni complicate, prima fra tutti, quella del terremoto. Che ricordi ha di quel periodo?
«Di quel periodo ricordo le tante associazioni che sono state accanto alla popolazione. In particolare, ricordo una decina di pattuglie della Polizia Stradale, inviate dal Ministero dell’Interno. Avevano principalmente compiti anti-sciacallaggio, ma addentrandosi nelle frazioni, molti equipaggi uscivano dalle auto di servizio, allacciando rapporti umani con le persone che in quei giorni vivevano enormi problemi. Persone costrette nei container, con le quali gli agenti in divisa parlavano e si mettevano in ascolto, offrendo un sostegno forte e facendo capire che lo Stato c’era. Sono arrivati agenti anche dal Veneto e dall’Emilia: persone che non erano mai stati in certi posti. Parlando con loro, in molti si sono detti stupiti della bellezza dei territorio, nonostante le ferite del sisma. Oltre alla tempra delle persone che, tra mille difficoltà, hanno continuato a dimostrare un forte senso d’accoglienza»
Più recentemente, la comunità di Comunanza e Montemonaco come ha affrontato le fasi più critiche dell’emergenza-Coronavirus?
«Un grande plauso va alla Caritas Diocesana. Loro, con il vescovo in prima persona ed anche con Don Gianni, sono stati i primi a chiamarmi per sapere di cosa ci fosse bisogno. Il vescovo ha manifestato una particolare sensibilità e, di fatto, i primi aiuti sono arrivati subito. Siamo stati i primi ad intervenire per alleviare i problemi delle persone che, dalla sera alla mattina, si sono trovati senza poter lavorare e, dunque, senza un’entrata economica. C’era chi, di fatto, era rimasto senza liquidità, dunque senza la possibilità di fare spesa o di pagare bollette essenziali»
Lo scorso anno, nell’omelia della messa in onore di S. Michele Arcangelo, il vicario vescovile, don Patrizio Spina, ha tratteggiato il ruolo dell’agente di polizia, evidenziandone le fatiche quotidiane. «Ma è fatica benedetta, perché questi uomini e queste donne non ci aiutano solo a vivere sicuri, ma a vivere bene» furono le parole del parroco. Nel suo lavoro quotidiano, avverte il peso di questa responsabilità e, al contempo, il sollievo della Benedizione divina?
«Da sempre, ho pensato che il mio datore di lavoro è il cittadino. In coscienza, siamo pagati per vedere sicurezza. L’ho sperimentato durante lockdown, un periodo nel quale insieme a molti altri colleghi lavoravamo di pattiglia anche 10 ore di seguito, controllando a tappeto ma senza dimenticare il buonsenso dell’essere uomo, prima ancora del poliziotto. Per me è stato un servizio molto bello, anche se mi sono riportato stress impressionante. Ricordo un episodio in particolare: una sera, verso le 10, al casello di Porto Sant’Elpidio fermo una macchina e dal finestrino mi appare il volto di una donna sfinita, sudata, stremata. Era un’infermiera che lavorava nella terapia intensiva di Civitanova. Veniva da 10 ore di lavoro ed andava a dormire in un posto diverso da casa sua, per evitare il rischio di riportare tra le mura domestiche il virus. L’ho ringraziata per quello che stava facendo e l’ho subito lasciata proseguire per il suo meritatissimo riposo»
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