di Daniele Rocchi
Sono 407 i francescani morti di peste dal 1619 fino ai giorni nostri. A loro, in queste ultime settimane vanno ad aggiungersi, dalla Siria in guerra, anche padre Edward Tamer, 83 anni, una vita passata nelle scuole della Custodia, gli ultimi 20 anni ad Aleppo, e a tradurre in arabo testi di teologia. Con lui padre Firas Hejazin, 49 anni di cui 23 di sacerdozio. Ieri la peste, oggi il Covid. Padre Tamer e padre Hejazin sono morti dopo aver contratto il Coronavirus. Si stima che nel Paese arabo i casi Covid-19 siano oltre 3400, 147 i morti e 997 i ricoverati. Numeri che molti analisti danno in difetto.
Metà dei frati in Siria contagiati dal Covid-19. Attualmente i frati presenti in Siria sono 15, in 9 parrocchie, due di queste sono al confine con la Turchia, a Knayeh e Jacoubieh, nella valle dell’Oronte, ancora sotto controllo delle milizie jihadiste. “La metà dei frati in Siria – rivela al Sir padre Francesco Patton, Custode di Terra Santa – ha contratto il virus riuscendo poi a guarire. Frati che hanno sacrificato la propria vita per rimanere al fianco dei malati in tempo di epidemie. Tutti hanno scelto di restare con il popolo, senza abbandonare nessuno”.
Come accadde durante le grandi epidemie di peste del 1347 e del 1370. “Allora l’attività dei medici francescani in Terra Santa – riferiscono dall’Archivio Custodiale – fu determinante, grazie alle alte conoscenze dei frati. La Custodia di Terra Santa, infatti, fece venire dall’Europa frati competenti in materia di scienza e medicina. I medici francescani erano molto stimati dai locali e anche dalle autorità musulmane”, come racconta la storia del Gran Mufti di Gerusalemme curato dal medico del convento di San Salvatore, fr. Giovanni da Bergamo, o del pascià di Acri, Muhammed al-Gezzar, che chiamò molte volte a palazzo fr. Francisco Lopez, medico di Gerusalemme. “Oggi curarsi in Siria, dove si combatte da 10 anni, è molto difficile anche a causa delle sanzioni economiche imposte da Usa e Ue – denuncia il Custode –. Il Coronavirus è una delle tante difficoltà che i siriani affrontano ogni giorno per sopravvivere. Basti pensare che per reperire medicinali la popolazione deve spesso ricorrere al mercato nero. Le sanzioni sono ingiuste e disumane. Invito quei Paesi che le hanno imposte a rimuoverle ora che siamo in piena pandemia. Diversamente avranno sulla coscienza tanti morti dei quali dovranno rispondere davanti a Dio”.
Il ‘rinserro’ e il ‘comunichino’. “Nonostante tutte le difficoltà imposte da guerra e Covid– rimarca padre Patton – i frati non si sono tirati indietro e hanno continuato la loro missione pastorale e caritativa. Chi ha contratto il virus è tornato, una volta guarito del tutto e in piena sicurezza, tra la popolazione”. Un modus operandi che, spiegano dalla Custodia, ricorda quello dei secoli scorsi quando, durante le epidemie di peste, i francescani si imponevano delle misure precauzionali per limitare il contagio. In questi casi il Discretorio custodiale, l’organo di governo della Custodia, decretava il cosiddetto “rinserro”: a nessuno era concesso lasciare il convento e tutti i contatti con l’esterno erano mediati da un responsabile, incaricato anche di sorvegliare il rispetto di questa norma. Tuttavia vi erano dei religiosi che rimanevano fuori durante la peste, solitamente il parroco e il collaboratore parrocchiale, chiamati in gergo gli “esposti”, perché correvano più degli altri il rischio di contrarre la malattia e morire. L’isolamento dal resto dei confratelli, chiusi in ‘rinserro’, “rendeva la loro morte ancora più dura. I francescani, però, si offrivano per la cura del gregge con spirito di carità, cercando di tutelarsi come potevano”.
Un esempio è l’uso del “comunichino”, una pinza in argento terminante con una specie di piattino che serviva per distribuire l’Eucarestia senza entrare in stretto contatto con il fedele.
Con noi – precisa padre Patton – sono rimasti accanto alla popolazione sofferente anche tanti altri istituti e congregazioni religiose, come i salesiani, i gesuiti, le suore di Madre Teresa, le dorotee, le suore del Rosario, quelle del Verbo Incarnato e altre ancora. Tantissimi religiosi e religiose, consacrati laici e laiche, che sono il segno della presenza della Chiesa in questo tempo di sofferenza”. Un pensiero che il Custode allarga anche ad altri Paesi, come il Libano in grave crisi economica e sociale. “Preghiamo per la stabilità di questi Paesi. Bisognerebbe che l’Europa fosse un po’ più presente in Medio Oriente con progetti di aiuto e di sviluppo e proposte concrete per la riduzione del debito. Senza l’aiuto dell’Europa il Libano sarebbe in balia di instabilità e di altri poteri. È pericolosissimo lavarsi le mani pilatescamente della situazione in Medio Oriente da parte dell’Europa. Non bastano certo le visite dei Macron e dei Conte per risolvere la crisi libanese. Se l’Ue è in grado di istituire un Recovery Fund per i suoi Paesi membri lo potrebbe fare anche per aiutare i Paesi più in difficoltà in Medio Oriente”.