Bambini che dormono sui marciapiedi con la mascherina sul viso, intere famiglie accampate giorno e notte su strade ad alto scorrimento, sulla spiaggia. Sono almeno 11.000 gli sfollati sulle 13.000 persone che vivevano nel campo di Moira. Di questi, 3.800 sono bambini. Tutti senza un riparo, uno straccio di tenda, dopo il devastante incendio di una settimana fa. Le forze armate presidiano gli accessi al campo di Moria e impediscono ai richiedenti asilo di avvicinarsi alla città di Mitilene, capoluogo dell’isola di Lesbo, per questioni di sicurezza. Le persone sono costrette a lunghe file estenuanti sotto il sole, ore e ore, per i test rapidi per il Covid-19 (20 i casi positivi) o per ricevere cibo e acqua, distribuiti dall’esercito ellenico. Il governo greco sta costruendo un nuovo campo con strutture temporanee. L’Unhcr ha fornito 600 tende familiari che hanno dato riparo a circa 700 persone, oltre a beni di prima necessità. Ma le tensioni stanno aumentando. Sia tra i richiedenti asilo, sia con la popolazione locale. Il rischio di ulteriori episodi drammatici è alto, se non si trovano soluzioni ragionevoli per tempo. “E’ una vera tragedia, perché l’atmosfera nell’isola è cambiata. Nei prossimi giorni si potrebbero verificare forti scontri e tensioni, anche contro la polizia e l’esercito. Tra i richiedenti asilo c’è tanta angoscia e disperazione”. A descrivere al Sir la situazione è Maria Alverti, direttrice di Caritas Hellas/Caritas Grecia, in questi giorni a Lesbo per concordare con i rappresentanti delle istituzioni gli aiuti umanitari possibili.
Caritas distribuisce acqua e sacchi a pelo. Caritas ha già distribuito 2.000 bottiglia d’acqua e sta aspettando un segnale per avere l’autorizzazione a distribuire 2.500 sacchi a pelo e acqua tutti i giorni. E’ disposta ad offrire anche traduttori, operatori sociali, psicologi, che già operano nel vicino campo di Kara Tepe: “Aspettiamo da parte loro una lista dei bisogni e delle priorità, altrimenti non possiamo fare molto”.
Un appello congiunto alla Ue. Lo staff di Caritas Hellas a Lesbo è costituito da sette operatori presenti nel campo per persone vulnerabili di Kara Tepe, più piccolo e in condizioni meno disumane rispetto a Moria, definito da molti “l’inferno d’Europa”. Qui migliaia di profughi siriani, afghani, iracheni, bangladesi, sub-sahariani sono bloccati da mesi e anni sull’isola a causa degli accordi tra Ue e Turchia. Caritas Hellas ha lanciato giorni fa un appello congiunto insieme a Caritas Europa perché l’Unione europea agisca e gli Stati membri decidano di accogliere sui loro territori i richiedenti asilo di Lesbo. Finora solo 407 minori non accompagnati sono stati trasferiti a Salonicco.
La disponibilità della Germania. La Germania si è detta pronta ad accogliere 1.500 rifugiati e ieri attivisti per i diritti umani hanno diffuso la foto con 109 persone vulnerabili pronte ad imbarcarsi su un volo verso la Germania.
Trasferire le persone. “Non ha importanza se l’incendio sia stato un atto doloso o un incidente ma
la situazione è disastrosa da cinque anni. Non si può andare avanti così”,
commenta Maria Alverti. Il piano del governo greco non prevede il trasferimento degli abitanti del campo di Moria sulla terraferma o su altre isole. Anche se qualche piccolo movimento c’è stato. “Secondo me – prosegue – non vogliono mostrare apertamente che dopo l’incendio saranno spostati tutti, non vogliono dare questo messaggio alla popolazione”. La possibilità che gli Stati europei accolgano gli sfollati di Moria, invece, “sarebbe realizzabile concretamente ma non lo è politicamente, perché temono passi il messaggio: ‘Venite in Grecia perché l’Europa aprirà le frontiere’”. A suo parere serve “un approccio comune europeo sulle migrazioni, rispettoso dei diritti umani. Non può essere lasciato tutto alla Grecia”.
Un nuovo campo con strutture temporanee non è sufficiente. Per il momento la sensazione è che il governo greco cercherà di stabilizzare la situazione a Lesbo, spostando le persone in un nuovo campo di Moria. “Ma ora siamo a settembre, cosa accadrà a novembre?”, si chiede la direttrice di Caritas Hellas: “Non saranno accolti in rifugi sicuri ma in strutture temporanee dove più di un mese non si può stare. Cosa succederà con il freddo e il vento del nord che soffia sulle nostre isole?”
Rischio tensioni e scontri. Ciò che al momento più preoccupa la Caritas greca sono le tensioni esterne e interne: estremisti locali che da tempo manifestano una ostilità diffusa contro i richiedenti asilo e le Ong – l’accesso a Mitilene è interdetto per ragioni di sicurezza – e divisioni all’interno del campo tra gli stessi rifugiati e nei confronti della polizia. “Alcuni attivisti consigliano ai profughi di non andare nella nuova struttura perché altrimenti non saranno spostati sulla terraferma – racconta -. Le famiglie più vulnerabili andrebbero ovunque ma altri fanno pressione e si rifiutano di entrare nel nuovo campo”. Purtroppo, precisa,
“c’è un grande problema di sicurezza. Con migliaia di persone in strada nessuno può garantire che non accada niente”.
Intanto Papa Francesco ha rinnovato domenica scorsa, durante l’Angelus, l’appello all’accoglienza ed ha espresso la sua vicinanza alle persone che soffrono a Lesbo, ricordando la storica visita nel 2016. Allora portò sul suo aereo alcuni profughi più vulnerabili, per ospitarli in Vaticano. Negli anni successivi dall’isola greca ne sono arrivati 67, grazie ai corridoi umanitari promossi dall’Elemosineria apostolica insieme alla Comunità di Sant’Egidio.
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