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Svezia, cresce l’intolleranza religiosa

Sarah Numico

“Bruciare libri è barbaro. Ciò vale in modo particolare per i libri che sono sacri per molti”. In un messaggio di “profonda solidarietà ai musulmani nel nostro Paese”, i responsabili delle 13 Chiese cristiane che sono in Svezia hanno alzato la loro voce per “esprimere ferma condanna per le violenze deliberate alla fede delle persone”. È da agosto che in tutta la Svezia si ripetono manifestazioni sostenute dal partito danese di estrema destra Stram Kurs (Linea dura), guidato da Rasmus Paludan, in cui vengono bruciate copie del Corano: è successo a Malmö a fine agosto, provocando forti scontri nella città, e nei giorni scorsi si è ripetuto numerose volte a Rosengård, Angered, Gothenburg e Rinkeby, anche se più in sordina perché la polizia ha vietato le manifestazioni convocate da Paludan. “Tali azioni rappresentano una seria minaccia per i diritti delle persone al proprio credo”, oltre che accrescere “la divisione tra le persone e ostacolare il lavoro per l’integrazione e il consenso in un momento in cui il nostro Paese ha bisogno di unirsi per difendere la dignità e i diritti di tutti”, si legge ancora nella dichiarazione dei leader cristiani. Anche il Consiglio interreligioso svedese – dove siedono cristiani, musulmani, ebrei e buddisti – ha condannato “fermamente” questi atti di provocazione anti-musulmana. Il Sir ha intervistato Björn Håkonsson, diacono nella parrocchia cattolica di Vår Frälsare a Malmö.

C’è un problema di intolleranza religiosa in città come Malmö e nel Paese in generale?
Vorrei tanto rispondere di no: in questa città ho incontrato così tante persone meravigliose e tolleranti di fedi diverse! La stragrande maggioranza delle persone vive ottimamente, condividendo gioie e speranze. E lo devono fare: questa città è sempre più un crogiolo di etnie, la popolazione svedese sta diminuendo. Se cammini per strada o prendi un autobus, hai spesso l’impressione di essere in Medio Oriente o nei Balcani. E la vita va avanti bene. Ma certo, tutti qui sanno che ci sono fanatici che cercano di alimentare l’odio. Alcuni di loro, mi è stato detto, sono ben integrati nella società ma vogliono importare conflitti da altre parti del mondo e usano giovani frustrati per creare problemi, incendiando le auto o lanciando sassi ai poliziotti. E c’è dell’antisemitismo.Io, nei miei abiti da diacono cattolico, non ho paura ad andare in giro. Ma se indossassi gli abiti di ebreo ortodosso, potrei sentire commenti negativi o vivere cose anche peggiori.Ma questo non è il quadro completo. Anche da parte “svedese” ci sono contributi all’intolleranza e non se ne parla: penso alla mancanza di comprensione del valore della religione. Questo è un fattore silenzioso dietro le tensioni. Persone da tutto il mondo arrivano a Malmö portando con sé le loro fedi. Ma c’è una mentalità comune, parte della “svedesità” fin troppo secolarizzata che dà per scontata l’idea che la religione sia “la radice di tutte le guerre”. Fa male. Noi cattolici siamo abituati, ma i musulmani non lo sono e ne soffrono di più. I media giocano un triste ruolo nel diffondere quell’immagine. È frustrante. E in realtà, ovviamente, sotto la superficie ci sono le radici socio-economiche di tutte le tensioni: Malmö (e la Svezia) ha accolto tantissimi immigrati a partire dagli anni ’90 ma senza riuscire a dar loro lavoro a tutti. Soldi sì, un posto dove abitare sì, ma lavoro no. Adesso vediamo la seconda generazione crescere senza lavoro. Questo è in sé una bomba sociale innescata. Senza lavoro, per cosa vivi? Islam radicale? Droghe? Solo per te stesso?

Quali sono i rapporti con la comunità islamica a Malmö, la “città più musulmana della Svezia”, e in generale nel Paese?
Nella “città più musulmana della Svezia” ci sono tante organizzazioni, conosciute e sconosciute.Ci sono organizzazioni accademiche musulmane che vengono promosse con uno splendido aiuto da parte dello stato e della città, e poi ci sono strani gruppi che si incontrano nelle cantine e non si sa cosa predicano realmente.Ho partecipato ad alcuni incontri molto stimolanti tra rappresentanti altamente istruiti di diverse fedi, voluti dalla Chiesa di Svezia per mettere in relazione tutte le comunità religiose, la polizia, l’Università, le imprese in uno sforzo comune per rafforzare la coesione sociale a Malmö. È un esempio di un ottimo lavoro che però non ha ricevuto dai media l’attenzione che merita. In tutta la Svezia, specialmente nelle grandi città, ci sono le stesse tensioni che si vivono a Malmö, anche se qui sono certamente più grandi i problemi. Più si sale al nord della Svezia, più le cose vanno meglio.

Come hanno risposto a quegli eventi le comunità religiose di Malmö?
I rappresentanti delle diverse fedi si sono subito incontrati e hanno espresso quella “coesione sociale” di cui ho parlato, solidarietà e allo stesso tempo condanna della violenza.

Che cosa fanno le comunità cristiane rispetto alle tensioni sociali?
In realtà fanno poco e noi cattolici non facciamo quasi nulla. Cosa possiamo fare? Quando serve, si dicono belle parole, ma in qualche modo le comunità cristiane non fanno parte dei conflitti di Malmö. E forse questo va bene così. A volte le chiese vengono fatte oggetto di furti, le finestre distrutte, ma non si tratta di attacchi al cristianesimo. Un giorno stavo tenendo una lezione di esegesi e hanno sparato a un uomo proprio fuori dal luogo in cui mi trovavo. Son corso fuori e l’ho trovato morto, ma non sapevo chi fosse, nessuno dei miei studenti lo conosceva. Nello stesso posto, una volta il nostro parroco ha chiesto a un uomo di smetterla di fare indecenze davanti alla chiesa. L’uomo ha puntato una pistola alla testa del parroco, solo per spaventarlo (e lo ha davvero spaventato!). Non credo che tra i piantagrane si possa trovare una cristofobia profonda: pensano che i cristiani son gentili, nemici di nessuno qui, forse stupidi, ma non una minaccia.

Allora c’è una “emergenza criminalità” in Svezia: cosa si sta facendo per fermarla?
Crescono il crimine e la violenza e questo fa molta paura. A volte persone totalmente innocenti, anche bambini, sono state uccise per errore. Quando succede, i media si svegliano… La polizia sta provando diverse strategie per impressionare i gangster, come presentarsi improvvisamente in gran numero in zone problematiche, ma in realtà la polizia non ha il controllo, almeno non in ogni parte della città. Le radici di tutti questi problemi? La disoccupazione insieme alla confusione rispetto all’identità, la dissoluzione dei legami familiari, dei valori religiosi e delle norme morali. Finché la società svedese non lo capirà, le strategie scelte finora non funzioneranno.E poi c’è una crescente demonizzazione degli immigrati e specialmente dei musulmani. Alcune persone abusano di questa situazione per creare problemi.

Quali sono le risposte istituzionali?
Ci sono davvero molti buoni sforzi per “intrattenere” gli immigrati, come i corsi di lingua e così via. Ma queste non saranno mai la soluzione. Il lavoro è la chiave. Dai lavoro alle persone e inizieranno a parlare una lingua comune, diventeranno amici, diventeranno orgogliosi di se stessi, miglioreranno i loro standard di vita e vivranno la vita per cui sono stati creati.

I partiti di estrema destra in Svezia (e nella vicina Danimarca), vanno a nozze con una situazione del genere, non è vero?
I Democratici svedesi sono visti come un movimento di “estrema destra”, incolpano l’immigrazione per quasi tutti i problemi sociali e idealizzano tutto ciò che è “svedese”. Quel movimento è molto forte, specialmente tra i giovani maschi di origine svedese. In Danimarca c’è un simile movimento da più tempo e ora anche il partito di sinistra (al governo) parla la loro lingua e fa accordi politici con loro. Questo processo di trasformazione della sinistra in destra è appena iniziato in Svezia. Fino ad ora il movimento di estrema destra è stato isolato da tutti gli altri partiti. Ma sono troppo forti e non possono essere ignorati. Penso che i partiti di sinistra saranno costretti a usare sempre più un linguaggio di estrema destra per sopravvivere. Non sarà molto utile, ma temo che dovremo conviverci per un po’.

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