Paolo Bustaffa
Si pensava, si diceva e si scriveva che la tragedia provocata da un virus sconosciuto avrebbe fatto nascere una società migliore e avrebbe lasciato qualche traccia buona anche nella cultura. Si pensava e si diceva e si scriveva che tutto sarebbe andato bene. Si pensava, si diceva, si scriveva…
Non era sbagliato quel pensare, quel dire, quello scrivere.
Il trovarsi di fronte a una misura inattesa di rancore, di odio e di violenza ha però profondamente sconcertato anche se non ha cancellato le molte e straordinarie storie di umanità.
Non ci si aspettava un rigurgito così devastante.
Non è serio addossare il lievitare del male esclusivamente ai media, ai loro titoli, ai loro racconti e alle loro immagini. Ci sono media che fedeli all’etica professionale scelgono di raccontare la realtà, anche la più sconvolgente, con il rispetto della dignità di persone e comunità lacerate dal dolore. Andrebbe al riguardo aperta una riflessione anche sul ruolo critico dell’opinione pubblica.
In una lettera al direttore di un quotidiano nazionale un giovane scrive: “La violenza di Colleferro è l’estrema conseguenza di una cultura della movida che è ormai istituzionalizzata in Italia”.
Partendo dall’assassinio di Willy la lettera al giornale è un appello a conoscere le radici di una brutalità mostruosa e a non trasformare un lutto in occasione politica.
La paternità di tanto male è nel nulla che avanza, senza farsi troppo notare, nella vita di molti. Un nulla che è parente stretto della noia e nel quale convivono la perdita di senso, la debolezza di pensiero, il rifiuto dell’altro, la violazione della dignità dell’altro che è poi violazione della propria dignità.
La movida preoccupa per il rischio far avanzare un virus sconosciuto e preoccupa per la presenza di un male che non è meno oscuro e aggressivo.
Colleferro lo ha confermato e una prima risposta è stata quella di aumentare le misure preventive e repressive. Non bastano. L’impegno urgente è quello per la formazione della coscienza attraverso solide alleanze educative e attraverso una rinnovata comunicazione intergenerazionale.
Willy, come qualcuno ha detto, è diventato un riferimento contro l’indifferenza, contro il chiamarsi fuori quando sono in pericolo la dignità e la vita di un altro.
Questo ragazzo pone qualche domanda agli adulti e agli stessi suoi coetanei: “Dove eravate prima che io venissi ucciso, dove eravate mentre mimetizzandosi cresceva la cultura di morte, dove eravate nei Colleferro di questo Paese? Resterete ancora assenti?”