“La guida di Mcl è stata del tutto inaspettata. Il Movimento ha attraversato una fase difficile con l’uscita del mio predecessore, Carlo Costalli, dopo vent’anni di governo. L’elezione è stata la prima a maggioranza nella storia del Movimento, con problemi durante il voto e dopo. Ho accettato per un servizio ecclesiale. Più condivisione, più partecipazione, più trasparenza e soprattutto più ecclesialità. Siamo un movimento prima ecclesiale e poi sociale, non dobbiamo dimenticarlo”. A 100 giorni esatti dall’elezione a presidente del Movimento cristiano lavoratori, Domenico Delle Foglie traccia un primo bilancio dell’attività svolta finora e degli obiettivi che attendono Mcl.
In questi anni si è fatta strada una strana narrazione, quasi che Mcl fosse un corpo intermedio con tre gambe paritarie: ecclesiale, politica e sociale, dei servizi. E che dall’equilibrio di queste tre gambe dipendesse il suo futuro. Non è assolutamente così. Dobbiamo mettere al primo posto la dimensione ecclesiale, perché sia guida e ispirazione dell’impegno politico, culturale, sociale e nei servizi.
Avverte il pericolo di un vuoto di leadership dei cattolici?
Le grandi crisi dei corpi intermedi ecclesiali hanno origine nel vuoto spirituale. È quest’ultimo che determina irrilevanza nella politica e nella cultura, non il contrario.
La scarsa cura che abbiamo destinato nel tempo alla nostra spiritualità è il punto da cui ripartire.
In questi giorni ci siamo incontrati a Roma per mettere in connessione la vita ecclesiale e l’impegno nelle istituzioni. Ho colto la richiesta di un rafforzamento del nostro Dna, che è un fiume sotterraneo che ha bisogno di tornare in superficie. Senza non possiamo essere ispirati nell’azione politica, sociale e culturale. La risposta ai bisogni del Paese ha la radice nella vita ecclesiale, che va rivitalizzata.
I giovani possono dare un contributo?
C’è una questione generazionale. Ho chiesto ai giovani di alzare la voce. Ma anche loro sono in affanno, perché molti sono impegnati nei servizi. Ho chiesto di essere protagonisti. Abbiamo la certezza che ora la presidenza del Movimento è contendibile, quindi dobbiamo imparare a governare e gestire il pluralismo interno. Bisogna avere una forte unità ecclesiale per costruire con saggezza e prudenza l’unità sugli altri temi.
Il Movimento conta circa 320mila iscritti e ha sedi su tutto il territorio nazionale e in molti Paesi del mondo. Centinaia i Caf e i patronati che assistono milioni di cittadini ogni anno. Senza dimenticare i numerosi enti di servizio che dipendono da Mcl. È una macchina complessa da governare…
I contributi che arrivano dallo Stato sono sempre meno, quindi dobbiamo raggiungere l’autosufficienza e avere bilanci in ordine. Nei nostri Caf e patronati non accogliamo utenti o clienti, ma fratelli.
Tante persone vengono da noi per dialogare, non soltanto per fare la dichiarazione dei redditi.
Ma per poterlo fare dobbiamo avere risorse, perché il tempo da dedicare all’ascolto è un costo nel mondo del lavoro. Stiamo lentamente ma efficacemente superando tutte le tensioni e le incomprensioni sorte in questa fase di passaggio, in particolare con il rinnovo del Cda del Caf. Bisogna avere visione di quello che ci aspettiamo e la stiamo costruendo insieme.
Su quale cammino è indirizzato Mcl?
Ci siamo interrogati su quale sia oggi il bene comune. In questo momento della nostra storia ce lo indica il Papa: la custodia del Creato. Abbiamo costruito un percorso socio-spirituale in tre appuntamenti, per una consapevolezza nuova e moderna sul tema del Creato. Abbiamo presentato al Ministero il progetto “Ambiente è partecipazione”. E anche il nostro ente di formazione Efal deve specializzarsi nelle nuove professionalità in campo ambientale. Al lavoro che mancherà, nuovo lavoro si sostituirà ma dobbiamo aiutare le persone ad essere pronte.
La Cgia di Mestre, riportando le previsioni dell’Istat, sostiene che entro la fine dell’anno circa 3,6 milioni di addetti rischiano di perdere il posto di lavoro. È preoccupato della stagione che ci attende?
Chiediamo al Governo azioni incisive. Dobbiamo abbandonare le derive assistenzialistiche e costruire lavoro buono. Le risorse devono essere spese in questa direzione.
Bisogna recuperare il gap tra Nord e Sud nella sanità, e intervenire sulla medicina territoriale in tutto il Paese. Se non abbiamo le risorse economiche per far fare un salto di qualità alla nostra sanità, non è peccato mortale prendere i soldi del Mes.
E poi indirizzare gli sforzi verso la transizione ecologica, la scuola e le infrastrutture. Al Governo chiederei 60 giorni per discutere, magari anche con i corpi intermedi, e 90 giorni per decidere: non c’è più tempo da perdere.