di Cristiana Dobner
Porre la firma ad un documento significa autenticarlo.
Francesco ha scelto il luogo in cui scrivere il suo nome: davanti alla tomba del santo di cui porta, per sua scelta, il nome.Se andiamo al Tanak e alla Scrittura cristiana, i luoghi in cui avvengono o si intessono le vicende umane sono tutti significativi: investiti dalla Presenza, luoghi da cui scaturisce la benedizione che poi si effonde su tutti. L’Altissimo li ha scelti.
La firma conclude, sigilla il documento.
Come si apre? Quale il suo incipit che dà il tono allo scritto?
C’è un episodio della sua vita che ci mostra il suo cuore senza confini, capace di andare al di là delle distanze dovute all’origine, alla nazionalità, al colore o alla religione. È la sua visita al Sultano Malik-al-Kamil in Egitto, visita che comportò per lui un grande sforzo a motivo della sua povertà, delle poche risorse che possedeva, della lontananza e della differenza di lingua, cultura e religione. Tale viaggio, in quel momento storico segnato dalle crociate, dimostrava ancora di più la grandezza dell’amore che voleva vivere, desideroso di abbracciare tutti. La fedeltà al suo Signore era proporzionale al suo amore per i fratelli e le sorelle.
Ecco la chiave interpretativa: sociologi, economisti, industriali e politici, potranno anche sorridere e forse (magari!) soffermarsi sui diversi punti che, via via, vengono indicati e motivati.
Se sorridono potrebbero pentirsene:qui abbiamo la ragione, il perché di questa enciclica: “il cuore senza confini” di Francesco, il santo assisiate, e di Francesco, il santo ancora peregrinante nella storia.Prima di riconoscerci in un numero o in un paragrafo che risponde al nostro ruolo sociale, alla nostra competenza, pur sempre utile, ecco lo scacco matto che costringe a pensare e esige risposta: il mio cuore è senza confini?
Francesco, il nostro vescovo di Roma, non si sottrae alla difficoltà degli sforzi. Ha iniziato anche lui, non in mimetismo, ma sorretto ed aiutato dal fratello Francesco, un viaggio che è impervio prima di iniziare, prima che si dia la stura agli echi critici e denigratori. Sotto tutti i profili.
Un solo intento:allargare le braccia non per una foto accattivante, dimostrativa, ma nel gesto ampio ed abbandonato di chi nulla ha da perdere e nulla da guadagnare, tranne il cuore delle persone, qualunque sia la loro fede.Ciascuno diventi migliore di quello che è al momento, dinanzi alla propria coscienza e all’Altissimo:
In questo spazio di riflessione sulla fraternità universale, mi sono sentito motivato specialmente da San Francesco d’Assisi, e anche da altri fratelli che non sono cattolici: Martin Luther King, Desmond Tutu, il Mahatma Gandhi e molti altri.
Il momento storico nostro è allarmante, non si può disconoscerlo. Tuttavia,arrestarsi soltanto all’esplicitazione dei pericoli, a che giova?Francesco è ben consapevole che esiste la fedeltà del Signore, l’ha sperimentata nella sua ormai lunga vita. È innegabile.
Ad una condizione però che si rivela una proporzione: La fedeltà al suo Signore era proporzionale al suo amore per i fratelli e le sorelle.
Ancora una volta entra in gioco il cuore.L’aspetto unico di ognuno di noi, nascosto a tutti ma che si rivela, nei gesti, nei fatti, nell’andare incontro a tutti, sempre e comunque. Sterile la polemica, in questo contesto, sul titolo che richiede soltanto di essere accolto come un richiamo lontano nei secoli ma che ha irrigato tempi e nazioni, luoghi e persone. Francesco infatti prosegue per rivolgersi a tutti i fratelli e le sorelle e proporre loro una forma di vita dal sapore di Vangelo.
Scelta radicale che, come dimostra tutto il lungo testo, non dimora fra le nuvolette rosee di uno pseudo evangelismo a buon mercato,ma sa affrontare le nuvolaglie della nostra crisi attuale e darvi risposta.
L’appello conclusivo ci dona la testimonianza di Charles de Foucauld
Egli andò orientando il suo ideale di una dedizione totale a Dio verso un’identificazione con gli ultimi, abbandonati nel profondo del deserto africano… Ma solo identificandosi con gli ultimi arrivò ad essere fratello di tutti. Che Dio ispiri questo ideale in ognuno di noi. Amen.
Così e solo così, il nostro sarà un cuore e non un salvaguardare solo se stessi, con il portafoglio gonfio e lo stomaco pieno.Prima o poi anche noi dovremo imparare a stendere la mano e a chiedere.Se l’avremo porta a salvezza di qualcuno, saremo gli ultimi ma quelli del Vangelo.