Educare è, in fin dei conti, ciò che connette le persone e le comunità, sul piano orizzontale, e, su quello verticale, ciò che connette il tempo, presente, passato e futuro. È insomma uno dei grandi temi dell’umanità. E della Chiesa. Perché investe tutta la persona, la mette in gioco, la fa progredire (o regredire), la apre al mondo (e al trascendente) o la richiude in un quadro sterile. Educare è di tutti, non solo degli addetti ai lavori e nello stesso tempo tutti siamo, sempre, educatori ed educandi.
Tocchiamo tutti con mano che oggi educare (e-ducere, trarre fuori, come ci insegna l’etimologia) è messo in discussione, contestato, degradato, o semplicemente ignorato.
Già, basta istruire, ovvero abilitare ad alcune conoscenze per la gestione di determinati processi, per salvaguardare gli interessi del mondo produttivo. Oppure comunicare, cioè trasmettere flussi di messaggi, finalizzati ad alcuni obiettivi di carattere sociale. Educare è tutt’altra cosa, molto più complicata, artigianale, perché mette in gioco i rapporti, tutti i rapporti, quella relazione, o quel sistema di relazioni che rende l’uomo, ovvero la persona, pienamente umana. E Paolo VI aveva ricordato, nel suo intervento alle Nazioni Unite che la Chiesa si qualifica come “maestra in umanità”. Ecco allora uno dei suoi successori, che lo ha canonizzato, che richiama, così come avevano fatto i suoi predecessori, ad educare.
Lo fa nella prospettiva orami del ventunesimo secolo. Un mondo come sospeso, e non solo per il virus. Lo stallo dei processi di globalizzazione, il sostanziale fallimento delle prospettive neo liberiste, conflitti vecchi e nuovi, imperialismi vecchi e nuovi, quelle forme striscianti di totalitarismo che già denunciò Giovanni Paolo II.
E non è solo un caso che l’iniziativa del Global Compact on Education, ovvero il Patto mondiale per l’educazione, previsto a maggio e rinviato per la pandemia, sia lanciata proprio ora. Perchè risulta la prima concretizzazione della enciclica “Fratelli tutti”. Educare è così importante oggi che può veramente essere il terreno di uno sforzo comune, in cui ciascuno si metta in gioco. E ritrovi le ragioni profonde del vincolo per cui siamo veramente fratelli, tutti. I fratelli spesso litigano, si affrontano, confliggono, ma sempre stretti da un legame che non si può in alcun modo negare e che si ritrova nei passaggi topici.
Il patto proposto dal Papa, a sua volta sollecitato in questa direzione da tanti autorevoli esponenti di organizzazioni mondiali e di religioni non cristiane, ovvero dai frutti del suo dialogare a tutto campo, è esigente. Convergere su questo impegno significa anche accettare una visione della persona aperta e un grande investimento appunto globale.
Tuttavia questo investimento passa prima di tutto attraverso la consapevolezza che non si può non cominciare da tanti, tantissimi gesti concreti, in tutto il mondo, che già sono in atto e cui bisogna dare rispiro, forza, coraggio. Il patto globale insomma indica un obiettivo grande, ma anche permette di mettere in rete e valorizzare tante energie, spesso mortificata. Un processo di portata storica, insomma che passa attraverso l’impegno di tutti e di ciascuno. Senza alibi per nessuno.
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