“La situazione è preoccupante ma i numeri dicono che rispetto al resto d’Europa siamo un’isola felice perché abbiamo mantenuto il rigore”. Non ci sta a far passare per irresponsabili gli italiani il vice segretario della Federazione italiana dei medici di medicina generale (Fimmg), Pier Luigi Bartoletti. “La realtà – dice – è che un virus che non si conosce. Non è un raffreddore a differenza di quello che diceva qualcuno a marzo”. Sulla diatriba che ha investito il Comitato tecnico scientifico, vale a dire palestre chiuse o aperte, Bartoletti è chiaro: “Aperte ma in sicurezza. La priorità è non ingolfare il sistema.Abbiamo iniziato a fare tanti tamponi ma dobbiamo chiederci se le cose vadano meglio o peggio. A me sembra peggio.Facciamo l’esempio della scuola: il sistema pubblico rischia di collassare se si continua a mettere in quarantena cinquanta classi per cinque sospetti positivi. Il tracing (il sistema di tracciamento, ndr) non ce la fa, diventa ingestibile. Prima non avevamo una strategia chiara. Ora non è più una guerra campale. Bisogna fare una selezione su dove intervenire”.
“La chiusura delle scuole per i casi verificati ha prodotto un aumento della richiesta di tamponi, il blocco di alcuni laboratori e generato ansia nella popolazione nonostante il problema sia fuori dagli istituti”. Vuol dire che la colpa è della movida? “No, attenzione a non incolpare i giovani – risponde -. Anche i genitori sbagliano. Continuano a fare feste per i figli”.
Per il rappresentante dei medici di medicina generale in questo momento in Italia c’è molto fumo e poco arrosto sul fronte del contenimento dei contagi.“E noi medici siamo affumicati”, ironizza Bartoletti. “Anche per andare a visitare a casa non abbiamo ancora nessuno strumento”.
A chi come Alberto Zangrillo, responsabile della rianimazione del San Raffaele, in un’intervista al Corriere della Sera chiede ai medici di medicina generale di fare diagnosi tempestive, Bartoletti risponde con l’esperienza vissuta quotidianamente: “Non è possibile far venire in ambulatorio chiunque abbia i sintomi.Lavoriamo molto al telefono per capire la sintomatologia e le eventuali occasioni di contagio del paziente.Rispondiamo oltre dodici ore al giorno, cercando di ascoltare tutti e offrendo allo stesso tempo i vaccini antinfluenzali e l’assistenza ai cronici”.
La preoccupazione però che dovrebbe allarmare adesso, riguarda i prossimi mesi: “Gli ospedali saranno interessati anche da altre patologie legate ai mesi invernali. È presumibile allora che ci sarà una sofferenza dei posti letto. Nella regione Lazio per esempio sono stati implementati i drive in, gli alberghi per i pazienti Covid dimessi, i posti di rianimazione. Ma manca ancora un pezzo: aumentare gli interventi domiciliari attraverso la formazione dei medici, il telemonitoraggio e le attrezzature per la diagnosi. A marzo abbiamo richiesto di avere apparecchiature per il monitoraggio domiciliare. Le dobbiamo ancora ricevere”.
Per quanto riguarda il capitolo vaccini contro l’influenza Bartoletti osserva che non tutte le Regioni si siano attrezzate per tempo.“Chi era abituato a fare le gare d’acquisto a luglio non ha pensato di anticipare”, ricorda. Solo che l’annata è del tutto particolare, “Alcuni hanno continuato a credere che la situazione sia ordinaria ma non lo è e si sono ritrovati in difficoltà”. Anche se in ritardo, sembra che comunque la macchina della vaccinazione stia partendo.Solo nel Lazio, per ora i numeri di coloro che si sono vaccinati sono altissimi: “Già 200mila dosi sono state somministrate pari al 30% della campagna dello scorso anno”,evidenzia Bartoletti che è anche segretario della Federazione del Lazio. “Ogni medico – aggiunge – oltre ai pazienti inseriti nelle fasce a rischio può richiedere una maggiorazione per vaccinare anche coloro che sono a contatto con chi è più fragile. Alle farmacie per la vendita è stato destinato solo l’1,5% delle dosi, il 4% nella regione Lazio”.