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Le famiglie cristiane si sentono ancora davvero e pienamente Chiesa?

Giovanni M. Capetta

I coniugi cristiani sono cooperatori della grazia e testimoni della fede l’uno per l’altro, nei confronti dei figli e di tutti gli altri familiari. Sono essi i primi araldi della fede ed educatori dei loro figli; li formano alla vita cristiana e apostolica con la parola e con l’esempio, li aiutano con prudenza nella scelta della loro vocazione e favoriscono con ogni diligenza la sacra vocazione eventualmente in essi scoperta.

In ordine di tempo, fra i documenti del Concilio Vaticano II che trattano della famiglia, vi è il decreto Apostolicam Actuositatem, che, promulgato da Paolo VI, il 18 novembre 1965, sottolinea l’importanza del laicato all’interno della Chiesa cattolica e tratta della vocazione dei laici e della loro missione nell’evangelizzazione e nella santificazione dell’umanità. Un documento fondamentale per vincere le tendenze clericali sempre latenti nell’esperienza pastorale della Chiesa e un testo che, appunto, nell’ambito dei vari campi di apostolato, dedica un importante paragrafo all’ambito della famiglia. Prima di elencare i doveri dei coniugi e le opere dell’apostolato famigliare, il testo esprime in modo inequivocabile la dignità del matrimonio come principio e fondamento della società e come sacramento. I coniugi cristiani sono chiamati “cooperatori della grazia e testimoni della fede l’uno per l’altro”. È importante questo rilievo fatto alla reciprocità della testimonianza di fede. Significa che la fede, appunto, ha una dimensione viva, che può evolvere, non è acquisita una volta per tutte, ma anzi può avere anche momenti di stanchezza, perfino di buio. Può succedere che uno dei due coniugi venga meno nella perseveranza e debba essere sostenuto dal fervore e dall’esempio dell’altro. La fede poi si trasmette ai figli e agli altri famigliari, ma come? Non solo con l’annuncio tramite la parola, piuttosto – e questo può avvenire in tante fasi della vita, in particolare in quelle in cui i figli, nell’adolescenza, si oppongono per principio alle figure genitoriali – con l’esempio di una testimonianza silenziosa e costante. “Araldi” ed “educatori della fede” quindi lo si è e lo si diventa attraverso una vita coerente con quanto si professa, con uno stile, improntato, per esempio, alla generosità e all’accoglienza, che si disponga facilmente al perdono. Bisogna riconoscere che i figli, soprattutto da bambini, possono anche fare resistenza a percepire gli insegnamenti sotto forma di parole, ma raramente vengono meno ad assimilare i comportamenti e gli atteggiamenti che vedono abitualmente praticati in casa dai genitori. Un papà e una mamma che vivono la loro vocazione di sposi con gioia e con speranza, sentendosi figli di un unico Padre e di un Padre buono non possono che tramettere la loro fede sotto forma di un tesoro, di un plusvalore offerto alla conoscenza e alla libertà dei loro figli. Sarà allora naturale che in casa, prima che in ogni altro luogo, si maturino le scelte più importanti della vita e si risponda ciascuno alla propria vocazione. Il testo poi prosegue entrando nel dettaglio delle opere dell’apostolato famigliare e ne fa un elenco che va dall’ “adottare come figli i bambini abbandonati”, ad “accogliere con benevolenza i forestieri, dare il proprio contributo nella direzione delle scuole, consigliare e aiutare gli adolescenti, aiutare i fidanzati a prepararsi meglio al matrimonio, collaborare alle opere catechistiche”, sostenere le famiglie in difficoltà economica, accogliere gli anziani… un elenco solo esemplificativo ma che prospetta chiaramente come dalla famiglia si diramino una serie di ambiti in cui i laici possono e devono rendersi protagonisti, con un apporto di esperienza e un ruolo specifico nell’annuncio del Vangelo. Ci potremmo chiedere, a distanza di più di mezzo secolo, a che punto siamo nella diffusione di questa consapevolezza da parte delle famiglie in Italia e nel mondo. L’impressione è che ci sia tanto lavoro come dire “sommerso”: le famiglie cristiane fanno tanto all’interno delle mura domestiche, un po’ meno quando si tratta di fornire un servizio alla comunità (catechismo, formazione etc…), ma, ciò che più conta, si sentono davvero e pienamente Chiesa?