La “gratitudine” del mondo ebraico a Papa Francesco per il suo impegno a combattere – fin dall’inizio del suo pontificato – l’antisemitismo. “In un momento in cui l’antisemitismo è in aumento e la minaccia fisica alle comunità ebraiche e agli ebrei è estremamente reale, siamo grati per la fermezza di Papa Francesco, che si è pronunciato con forza e ripetutamente contro questo flagello”. È quanto esprime il rabbino Noam E. Marans, presidente del Comitato ebraico internazionale per le consultazioni interreligiose (Ijcic), in un messaggio scritto in occasione della commemorazione del 55° anniversario della pubblicazione della Dichiarazione conciliare “Nostra Aetate”. Era il 28 ottobre del 1965, quando dal Concilio Vaticano II uscì questo testo destinato ad aprire in modo irreversibile il mondo cattolico al dialogo con gli ebrei. Per commemorare la storia di questi 55 anni di amicizia, si sarebbe dovuta tenere a San Paolo, in Brasile, alla fine di ottobre, una riunione del “Comitato internazionale di collegamento cattolico-ebraico” (Ilc) ma per motivi legati alla pandemia, l’incontro è saltato e la Commissione vaticana per le relazioni religiose con gli ebrei (Crrj) e il Comitato ebraico internazionale per le consultazioni interreligiose (Ijcic) hanno deciso di scambiarsi in questa giornata messaggi pubblici di amicizia e impegno a proseguire questo dialogo. Nel suo messaggio, il rabbino Marans ripercorre i passi di avvicinamento compiuti in questi anni: dalle visite papali alle sinagoghe e ai luoghi dell’Olocausto al ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra Vaticano e Israele nel 1993. Mezzo secolo di una storia – dice – che “ha trasformato due millenni di inimicizia in una benedizione di amicizia” nella “convinzione condivisa che gli esseri umani sono creati a immagine divina e che i nostri destini sono inestricabilmente legati.Mentre combattiamo una pandemia che non fa distinzione tra le sue vittime, questi valori ci avvicinano come indicazioni per la nostra vita religiosa”.
Nel suo messaggio, il card. Kurt Koch, presidente Commissione per i rapporti religiosi con gli ebrei della Santa Sede, sottolinea quanto ebrei e cristiani siano “inseparabilmente legati nel fondamento essenziale della fede nel Dio di Israele” e “uniti da una ricca eredità spirituale comune e dall’eredità di un passato condiviso di lunga data”. E per togliere ogni minimo dubbio sulla comune appartenenza di ebrei e cristiani alla discendenza di Abramo, incalza: “Il cristianesimo ha le sue radici nel giudaismo; quest’ultima costituisce il nucleo della sua identità.Gesù è e rimane un figlio del popolo d’Israele; è plasmato da quella tradizione e, per questo, può essere compreso veramente solo nella prospettiva di questo quadro culturale e religioso”.
Se dunque con Nostra Aetate, molta strada è stata fatta per avvicinare cattolici e ebrei, molto purtroppo resta ancora da fare per sradicare dalle menti e dai cuori ogni forma di discriminazione e pregiudizio.