Andrea Casavecchia
In Italia la povertà e la disuguaglianza vanno a braccetto e in questo periodo crescono in modo abbastanza allarmante. Sembra quasi che si stia scavando un fosso tra persone più o meno abbienti. Così le persone più vulnerabili faticano a recuperare.
Nell’ultimo anno il numero dei poveri assistiti è cresciuto molto: gli utenti approdati ai centri d’ascolto sono aumentati dal 31% al 45%. Il recente Rapporto Caritas sulla povertà, pubblicato nel 2020, conferma la debolezza atavica di alcune categorie: famiglie numerose e quelle con figli minori, i cittadini stranieri, i cittadini con una minore istruzione. La situazione è aggravata dalla contingenza: si aggiungono quanti hanno perso il lavoro in questo drammatico periodo di crisi sanitaria ed economica, in particolare i lavoratori autonomi. Inoltre sono emerse altre forme di vulnerabilità. Queste, originate durante il lockdown, segnano un nuovo elemento di disagio che è più difficile da individuare perché si nasconde tra le mura domestiche, nei silenzi delle persone, nell’interruzione dei rapporti: sono esplosi il disagio psicologico-relazionale, i problemi connessi alla solitudine e di forme depressive, cresciuti rispettivamente dell’86,4%, dell’82,2% e del 77,5%.
Interessante nel Rapporto è l’indicazione di alcuni rischi per il futuro che corrono lungo due aspetti: da un lato le persone che sono scivolate nello stato di povertà a causa del Covid – come ad esempio i lavoratori autonomi – a regime potrebbero non avere i requisiti necessari per usufruire delle misure esistenti. Dall’altro lato è prevedibile che una fascia consistente della popolazione oscilli lungo linea di povertà, perché le sue condizioni sono dovute alle condizioni lavorative presenti nel nucleo familiare, alla salute dei suoi componenti e alle possibilità di accedere agli aiuti pubblici o privati. Come aiutarli?
La domanda diventa ancora più urgente se si aggiunge una questione ancora più grave è la mancanza di un percorso di uscita. Purtroppo, ci troviamo in una società che vive una scarsa mobilità sociale ascendente. Per i cittadini più vulnerabili sono scarse le occasioni di migliorare la propria condizione. Lavorare non è sufficiente: l’incidenza della povertà è del 10,2% tra le famiglie degli operai. Per molti il lavoro diventa una trappola: si passa da un’esperienza di precarietà all’altra, senza contratti o senza rispetto di alcune tutele. La diffusione del lavoro sommerso e semi-sommerso segna il percorso dei più fragili. Anche il titolo di studio non offre le stesse garanzie: osservano alcuni economisti che tra i redditi dei lavoratori dipendenti in Italia il 40% dei laureati riceve una retribuzione inferiore a quella dei diplomati, e la disuguaglianza salariale è molto alta anche a parità di titolo di studio: tra i diplomati è del 38,7%. Questo indicatore ci dice che i titoli di studio faticano ad essere un segno di mobilità sociale, mentre rimangono un viatico per l’ingresso nel mondo lavorativo.