La tempesta tropicale Eta, nel suo cammino da Nicaragua e Honduras verso il Guatemala ha lasciato una scia di distruzione e morte, mentre ora si trova nel mar dei Caraibi, diretta verso Cuba e la Florida. La situazione è drammatica in Guatemala, dove una frana nel villaggio di Quejá, nel dipartimento di Alta Verapaz (nord del Paese) giovedì ha provocato la morte, a quanto si apprende dalle prime stime di almeno 50 persone, secondo quanto confermato al Sir dal segretario esecutivo di Caritas Guatemala Mario Arevalo (di fronte a stime apparse sui media che parlano di circa cento deceduti), appartenenti a una comunità indigena, le cui case sono state travolte dalla terra. Decine le abitazioni che si troverebbero sotto il fango.
In tutto il nord del Paese, nei dipartimenti di Izabal, Alta Verapaz, Zacapa, Petén e Huehuetenango (una decina le vittime in questa zona) si registrano inondazioni ed evacuazioni di migliaia di persone.
La Caritas si è immediatamente mobilitata per portare aiuto alle popolazioni, insieme alle diocesi interessate. In un primo bollettino, pervenuto al Sir,
Caritas Guatemala stima che siano quasi 13mila le famiglie bisognose di assistenza, mentre al momento le persone ufficialmente evacuate sono 2.277 e quelle accolte in centri di accoglienza 510.
“Avremo bisogno dell’aiuto di tutti, anche a livello internazionale”,
l’accorato appello di Arevalo.
Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli aiuti umanitari, circa “55.000 persone sono state direttamente colpite”.
Il vescovo del vicariato apostolico di Izabal, mons. Domingo Buezo, si è recato in alcune delle zone più colpite, anche se in molte località le strade sono state spazzate via e la viabilità è completamente interrotta. Ci sono chiese completamente allagate, come quella del villaggio di Morales. Il vescovo, in una nota, esprime “vicinanza spirituale” a tutte le persone coinvolte e rivolge un invito: “Questo è il momento in cui la vita cristiana deve esprimersi nella solidarietà”.
Le zone colpite sono tra le più povere del Guatemala, costantemente sotto pressione dal punto di vista umanitario: nell’ultimo mese sono passati per l’Izabal i migranti honduregni che costituivano la più recente carovana. La Pastorale della mobilità umana del Guatemala ha messo a disposizione degli alluvionati le proprie strutture di accoglienza, come conferma al Sir padre Juan Luis Carbajal, segretario esecutivo della Mobilità umana della Conferenza episcopale guatemalteca: “Soprattutto la casa del migrante di Entre Ríos, al confine con l’Honduras, è ovunque piena di persone sfollate.
Tantissime comunità sono isolate, le vie interrotte e i camp, unico sostentamento per queste popolazioni, sono allagati. A Ixcán, nella diocesi di Quiché, dove si incrociano tre fiumi, per esempio, diversi ponti sono stati travolti dall’acqua”.
La Conferenza episcopale guatemalteca (Ceg) ha diffuso nella notte italiana un messaggio nel quale esprime “solidarietà e vicinanza” sia alle regioni del Paese più colpite che alle nazioni sorelle di Nicaragua e Honduras. “Questa tragedia accade in tempi di pandemia, e al dolore di questo si aggiunge un nuovo patimento”, scrivono i vescovi, che rivolgono un triplice appello: “Alle autorità nazionali e locali per il recupero e l’aiuto immediato alle persone colpite nei dipartimenti nordorientali del Paese”; alle Istituzioni internazionali, perché “nonostante la situazione di pandemia, possano tenere conto di questa grave emergenza che invita alla vicinanza solidale”; ai guatemaltechi, “chiamati in questa occasione a concretizzare la fraternità nazionale andando oltre la propria situazione di povertà e angustia”.
Frattanto, anche la pandemia del Covid-19 continua a provocare contagi, e si teme sia alle porte una seconda ondata. Oltre che in Guatemala si sta facendo la conta dei danni anche in Honduras e in Nicaragua, dove vari corsi d’acqua sono straripati e sono migliaia le persone rimaste senza casa, come per esempio si constata dalle immagini, pubblicate sulla pagina Facebook dell’arcidiocesi di Managua, inviate da padre Javier Pla García dalla comunità di Bilwi, nella zona caraibica del Nicaragua, dove sono 30mila le persone evacuate. In Honduras sono circa 3mila le persone evacuate e sistemate in centri di accoglienza (sette quelli allestiti solo nella capitale Tegucigalpa).