“Per il cattolico i lontani non dovrebbero esistere”. Parte da questa affermazione di Giovanni Battista Montini l’ultimo libro di mons. Leonardo Sapienza, reggente della Casa Pontificia, dal titolo “Paolo VI. Non esistono lontani” (Edizioni San Paolo). Tra i discorsi e gli scritti raccolti nel volume, anche alcuni inediti, come la trascrizione del colloquio avuto da Paolo VI il 10 luglio 1970 con il cardinale Bernard Alfrink, arcivescovo di Utrecht, sul celibato sacerdotale. Papa Montini – rivela mons. Sapienza al Sir – “era talmente convinto dell’importanza del dialogo, che avrebbe voluto dedicarvi un’enciclica. Papa Francesco ripete che Paolo VI è il suo maestro; e anche lui, nell’andare incontro all’uomo di oggi, non esita a ripetere che non esistono i lontani, e che bisogna dimostrare che Dio non è un ladro di felicità o di libertà”. Non manca un riferimento speciale all’emergenza sanitaria in atto: “Il momento che attraversiamo è triste e pensoso, per l’incertezza dovuta alla pandemia. Ma le forze sane, le energie buone, i fatti di conforto e di speranza, benché non facciano rumore, sono ben più notevoli, grazie a Dio. Ciò di cui la società ha forse più bisogno è che i cristiani levino alta, con umile coraggio, la voce profetica della loro speranza”.
Mons. Sapienza, al centro del suo ultimo libro c’è il tema del dialogo, come cifra ed essenza di tutto il magistero di Papa Montini. Di quali sfumature, in particolare, si tinge questa parola nel pontificato di Paolo VI?
Per Montini, il dialogo era quasi un “chiodo fisso”. Era talmente convinto dell’importanza del dialogo, che avrebbe voluto dedicarvi un’Enciclica.
Per Paolo VI il dialogo non è mai irenismo o compromesso al ribasso. In un delle sue pagine scrive: “Non è facile farlo, specialmente in un periodo, come il nostro, di così radicale e sleale avversione alla religione e alla Chiesa”. Sembrano parole scritte oggi…
Il dialogo non era per lui una insidia tattica. Era, piuttosto, colloquio sincero, sforzo leale di intesa, buona volontà di giungere a un accordo. E l’accordo, è un incontro di cuori. Senza ambiguità e senza compromessi.
La sincera volontà di dialogo con i “lontani” accomuna Papa Paolo VI e Papa Francesco. In che senso si può parlare di “continuità” e di “novità”?
Papa Francesco ripete che Paolo VI è il suo maestro; e anche lui, nell’andare incontro all’uomo di oggi, non esita a ripetere che non esistono i lontani, e che bisogna dimostrare che Dio non è un ladro di felicità o di libertà.
Perché i “lontani”, allora come oggi, hanno bisogno dello “scandalo” cristiano, come scrive Papa Montini?
Sia Paolo VI sia Papa Francesco stimolano la Chiesa e i cristiani ad aprire le porte, a far sentire a casa, a farsi sentire accettati.
Non si va incontro ai lontani insegnando; mai giudicando; ma facendosi compagni di strada dell’umanità.
Infondere speranze “buone, vere, buone” agli uomini, in un’ora “inquieta e confusa”. Paolo VI sintetizza così la missione della Chiesa: come portarla avanti, nel tempo della pandemia?
Senza speranza non si vive.
Il momento che attraversiamo è triste e pensoso, per l’incertezza dovuta alla pandemia. Ma le forze sane, le energie buone, i fatti di conforto e di speranza, benché non facciano rumore, sono ben più notevoli, grazie a Dio.
Ciò di cui la società ha forse più bisogno è che i cristiani levino alta, con umile coraggio, la voce profetica della loro speranza.