- L'Ancora Online - https://www.ancoraonline.it -

Scuola, uno scenario critico

Alberto Campoleoni

C’è poco da aggiungere alle misure decise per la scuola. Le restrizioni decise in ordine all’aggravarsi della pandemia pendevano come una spada di Damocle sugli istituti scolastici – su studenti, famiglie, docenti e operatori vari – da parecchio tempo. In tanti hanno continuato a ripetere che la scuola “non si tocca”, ma la sostanza è che la mano pesante delle misure contro il virus la scuola l’ha toccata eccome.
Didattica a distanza, a partire dalla seconda media nelle zone rosse. “Salvi” il primo anno delle secondarie inferiori e il ciclo primario. Perché? Verrebbe da dire quello che hanno detto quasi tutti: così la scuola svolge il ruolo di baby sitter per i più piccoli, in modo che i genitori possano continuare a lavorare.
Forse è vero e non stupirebbe neanche tanto in un Paese dove la scuola continua ad essere – nonostante i proclami – un problema secondario. Tuttavia sarebbe meglio pensare che la continuità di presenza per i più piccoli sia stata concepita in virtù del loro benessere e dei danni che invece riceverebbero da una chiusura delle aule scolastiche.
E parlando di danno è inevitabile pensare al bilanciamento tra le conseguenze – da evitare – di un’epidemia contagiosa e quelle – altrettanto da evitare – di un male silenzioso e soprattutto poco contabilizzabile – al contrario dei numeri quotidiani e rimbombanti della pandemia – legato alla privazione della frequenza scolastica.
La questione non è principalmente legata agli apprendimenti disciplinari – la tanto nominata didattica a distanza, per quanto ben fatta e organizzata non può tutto – quanto piuttosto al “contorno”, alle questioni legate alla socializzazione, alle dinamiche tipiche del mondo adolescenziale – è soprattutto questa fascia d’età che si trova coinvolta – alla preziosissima funzione della scuola come avviamento all’età adulta nel segno della conquista di autonomia, responsabilità, protagonismo.
E qui i pc e le connessioni a banda più o meno larga possono poco rispetto al confronto quotidiano, allo “struscio” – con rispetto del distanziamento, si intende – dei cervelli e delle emozioni, all’incontro e allo scontro anche fisico che si verificano in quelle palestre di vita, attrezzate e monitorate – così dovrebbe essere – che sono gli istituti scolastici.
Quando ci renderemo conto dei danni? E’ una domanda alla quale è davvero difficile rispondere. Forse ci diranno qualcosa i prossimi numeri degli abbandoni – il timore della dispersione scolastica è già stato sventolato a più riprese, in un Paese dove la percentuale dei cosiddetti Neet (chi non lavora e non studia) lascia tante preoccupazioni – ma ci sarà da fare il conto, più difficile, con gli strascichi a lungo termine su temi come la cittadinanza e la socialità, senza dimenticare gli allarmi di tanti psicologi sulle ripercussioni individuali in termini di salute.
Ebbene, lo scenario è questo. Critico. Nello stesso tempo a poco serve continuare a domandarsi se si poteva fare diversamente, se le attenzioni mancate potevano invece essere messe in atto. Sarà un tema di verifica politica, probabilmente a lungo termine.
Adesso la priorità è limitare i danni. Attivare al meglio le opportunità che ci sono, la didattica a distanza ma non solo, sfruttando le energie creative del mondo scolastico, di studenti e docenti. Ci sono già esperimenti in corso. Pc e smartphone corrono il rischio di diventare muri che chiudono i ragazzi su una realtà sempre uguale e ristretta, ma anche opportunità per nuove avventure. Ecco il compito della scuola digitale (non è la dad): cercare e sperimentare strade diverse.