Compiere tutti gli sforzi possibili e ad ogni livello per salvare da ulteriori distruzioni cappelle, chiese e monasteri, monumenti storici e culturali, musei, “come risultato della politica anti-armena dell’Azerbaigian”.
È quanto chiede in una dichiarazione pubblicata ieri il Consiglio supremo della Chiesa apostolica di Armenia all’indomani dell’accordo firmato dall’Armenia e dall’Azerbaigian sotto l’egida della Russia, per porre fine alle ostilità in Nagorno-Karabakh, dopo un mese e mezzo di combattimenti. L’accordo prevede oltre ad un completo cessate il fuoco, il mantenimento da parte delle due parti delle posizioni conquistate. Yerevan ha così dovuto restituire a Baku, oltre alla città di Shushi, anche il controllo del distretto di Aghdam entro il 20 novembre, il distretto di Kalbajar entro il 15 novembre e il distretto di Lachin entro il 1° dicembre. Purtroppo, però anche in seguito all’accordo, non sono cessati gli atti vandalici e le distruzioni di siti cristiani. Arriva direttamente da Etchmiadzin, sede della Chiesa apostolica armena e del catholicos Karekin II, la notizia che nella notte tra il 9 e il 10 novembre, gli azeri hanno di nuovo profanato la chiesa del Santo Salvatore di Ghazanchetsots, nella città di Shushi, lasciando scritte sulle pareti esterne e interne della chiesa. “Condanniamo fermamente quanto accaduto come espressione di evidente vandalismo e intolleranza”, si legge in un comunicato della Chiesa apostolica. “Non deve essere permesso all’Azerbaigian, seguendo i passi della sua sostenitrice Turchia, di continuare la sua politica di genocidio culturale”. “Allo stesso tempo, chiediamo alla comunità internazionale, così come alle istituzioni interreligiose ed ecumeniche, di alzare la propria voce e prendere le misure appropriate per fermare tale barbarie contro i monumenti e santuari religiosi e culturali nell’Artsakh e le manifestazioni anti-armene delle autorità azere”. Nella dichiarazione pubblicata oggi, il Consiglio supremo definisce “vitale” l’intento ora a mantenere il cessate il fuoco, per assicurare una pace solida nella regione. E se l’accordo ha suscitato nell’opinione pubblica armena una “giusta rivolta” per le conseguenze, le incertezze e le perdite che ha provocato, queste proteste sono oggi causa di “destabilizzazione politica interna”. Da qui l’invito a tutte le forze politiche di governo e opposizione ad impegnarsi ad “avviare un dialogo per risolvere le questioni in un clima di cooperazione”, ad “ascoltare la voce della gente” e “agire al di sopra degli interessi personali e di partito” e ad “astenersi da discorsi di odio, incitamento all’ostilità, minacce e azioni simili”. “Chiediamo ai figli del nostro popolo in queste difficili condizioni di mantenere vigilanza, buon senso e la fede e la fiducia che insieme possiamo superare difficoltà e sfide e costruire insieme un futuro radioso per la nostra Patria”.
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