Nuove povertà, vecchie sofferenze. A Torino, nella città delle fabbriche ma anche della cultura e dell’accoglienza, laboratorio da sempre di nuove situazioni sociali ed economiche, il Covid-19 scompiglia la struttura portante della società. Strati sociali prima benestanti o quasi si ritrovano d’improvviso ad aver a che fare con la necessità di aiuto, mentre le “vecchie povertà” non diminuiscono certo di tono.
Pierluigi Dovis, direttore della Caritas diocesana, lancia l’allarme, dopo la celebrazione, domenica 15 novembre, della IV Giornata mondiale del povero, descrivendo una città ben diversa da quella di una volta. Spiega Dovis: “La povertà cresce, ingigantisce la sua ombra e si diversifica nelle forme. Accanto a chi era già povero prima della pandemia, adesso ci sono nuovi e inaspettati poveri. Quelli che avevano un lavoro in nero e che l’hanno perduto, quelli in cassa integrazione e che non riescono ad arrivare a fine mese, i titolari di piccoli esercizi commerciali, i piccoli professionisti”. Come un’onda maligna, poi, la povertà travolge senza distinzione di istruzione e attività. “Stanno emergendo – aggiunge – fragilità di alcune professioni, come per esempio quelle legate alla stagionalità, al lavoro nei campi, alla cultura, al turismo”.
Così si generano situazioni inedite per tutti.
“Ci stiamo approcciando a persone che non erano mai venute a chiedere il nostro aiuto”,
sottolinea Dovis: “Quello che dobbiamo fare è essere un ponte verso il futuro, non un cammino che inesorabilmente li porta a diventare degli assistiti”.
Prima di uno sguardo in prospettiva verso un futuro migliore, tuttavia, ci sono i numeri che parlano chiaro. La rete ecclesiale della diocesi conta 15 mense, con una media di 3mila pasti al giorno, e una rete di parrocchie che distribuiscono pacchi a circa 19mila famiglie. Proprio in occasione della Giornata mondiale del povero, la diocesi ha fatto sapere che 91 su 114 parrocchie della città, con il sostegno del Banco Alimentare, regolarmente distribuiscono generi alimentari. Se si guarda alla Città metropolitana il numero aumenta di 171 parrocchie per circa 30.000 persone. E non basta, perché la rete del servire i poveri si sviluppa intorno al nucleo della attività di ascolto che in città conta 107 centri, altri 62 sono sparsi nel resto della diocesi. Tutto senza dire dell’accoglienza residenziale temporanea che a Torino rappresenta al meglio la mano tesa al povero in questi tempi storici. I co-housing attivi in città e nella primissima cintura sono sette per una capienza di oltre 200 posti letto. Quasi 200 sono poi gli alloggi messi a disposizione dalla rete Sister, dalla Pastorale dei migranti, dal Sermig, dalla Fondazione don Mario Operti, dalla Fondazione “Il Riparo” o da associazioni e parrocchie per accogliere famiglie e singoli, con particolare attenzione ai rifugiati e richiedenti asilo. Una mole enorme di attività che non si ferma nemmeno di notte e che comprende anche l’accesso agevolato al microcredito attraverso uno strumento dedicato (il “Fondo Sorriso”).
Dovis, tuttavia, lancia un allarme:
“Non è necessario avere una particolare formazione sociologica per capire che questa situazione e le modalità deficitarie, con le quali i governi e le istituzioni hanno dato risposte, stanno incidendo in modo molto forte sulla vita di chi era già in condizioni precarie”.
“Per ora – sostiene Dovis -, ci sono frustrazione, sconforto e paura, ma si sta notando crescere, soprattutto nelle periferie o nei comuni attorno a Torino, un senso di abbandono che può essere interpretato come l’anticamera di un senso di rabbia”. E la rabbia, poi, può condurre alla violenza. “Non dobbiamo snobbare questi segnali”, prosegue il direttore della Caritas. E, d’altra parte, nelle scorse settimane proprio a Torino manifestazioni violente e saccheggi ci sono già stati. “Il problema è che non vedo, in questo momento, istituzioni capaci di gestire questo sentimento per veicolarlo verso una modalità positiva e propositiva – ammette Dovis -. Non è possibile lasciare tutto in mano al volontariato che può fare solo da cuscinetto. Occorre la capacità di pensare e mettere in atto in piano d’azione interistituzionale di medio periodo”. Di qui la preoccupazione: “Temo possa nascere qualche cosa di poco gradevole, ma non sono in grado di dire di che tipo e spero di essere smentito”.
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