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Maradona, figliolo del popolo. Mons. Fernández: “Non ha mai negato quella fede dei semplici”

Bruno Desidera

È stato, sempre e comunque, “un figlio del popolo”, mai ha rinnegato le sue radici, compresa la sua fede popolare. “Uno di noi”. Per questo, tutta l’Argentina abbraccia e piange il suo mito, il calciatore Diego Armando Maradona, morto a ieri a 60 anni per un attacco cardiaco nella sua abitazione di Tigre. Mentre il Governo ha proclamato tre giorni di lutto nazionale, si moltiplicano le reazioni, i messaggi e le preghiere. Come ha trovato conferma il Sir, nelle dichiarazioni a caldo raccolte in ambito ecclesiale e nei quartieri popolari della periferia “bonaerense”, nelle villas di cui el pibe de oro è stato figlio, a partire da Villa Fiorito, il suo quartiere natale. “È un duro colpo, una giornata triste”, dicono tutti.

“Non ha mai perso la fede popolare”. Da La Plata, dove di recente Maradona è stato operato e ricoverato, arriva l’omaggio dell’arcivescovo, mons. Víctor Manuel Fernández, teologo già assistente dell’Università Cattolica Argentina. “È stato molto apprezzato soprattutto dagli umili – dichiara al Sir l’arcivescovo -, perché rappresenta chi si è fatto avanti con fatica, ha raggiunto un posto importante, ma senza perdere la cultura popolare da cui proveniva, senza allontanarsi dai suoi soliti amici, senza negare la sua umile origine o nasconderla. Non ha mai perso la fede popolare che sua madre gli ha trasmesso e non ha mai negato quella fede dei semplici. Ecco perché spesso si faceva il segno della croce, chiedeva aiuto alla Vergine, parlava di Dio senza vergogna”. Certo, in lui, come è noto, hanno convissuto grandezza e fragilità: “La sua grandezza consiste nel fatto che sapeva come mettere il suo corpo e la sua anima in quello che faceva. Il calcio era la sua vocazione, e lì dava tutto. Inoltre, sappiamo che non l’ha fatto solo per progredire finanziariamente, ma con la passione di portare gioia alle persone.

Conosciamo già i suoi limiti, i punti deboli, a cui sono spesso attratti coloro che hanno un’elevata esposizione pubblica. Ma in mezzo ai suoi limiti, non si è lasciato sopraffare, ha riprovato ed è andato di nuovo avanti”.

Il sacerdote che ha battezzato il nipote. “Ho avuto occasione di conoscerlo e di scambiare qualche parola con lui – ci racconta padre Fabian Báez, parroco di Maria Regina, a Buenos Aires, noto per essere stato fatto salire qualche anno fa sulla papamobile da Papa Francesco, nel corso di un’udienza -. Era lo scorso anno, mi è stato chiesto di battezzare il suo primo nipote. C’era tutta la famiglia, in un clima di festa. Ho parlato di calcio, naturalmente. Come tutti i miei coetanei sono cresciuto con il mito di Maradona. Gli ho donato un crocifisso, e mi ringraziò molto. Posso dire che la sua era una fede semplice, ma profonda. Oggi sono molto triste, ma tutta l’Argentina è in lutto. Era uno di noi”.

Testimonianze dalle “villas”. Ma è nelle villas de emergencia, nei quartieri periferici della grande area metropolitana “bonaerense”, che è esploso ieri il lutto popolare. A partire da Villa Fiorito, la località a sud della capitale, nella diocesi di Lomas de Zamora, che ha dato i natali al grande calciatore. “Qui c’è il suo atto di battesimo – racconta al Sir padre Víctor Gustavo Ariel Favero, parroco della Santa Croce -. Il riferimento della sua famiglia era la cappella della Madonna di Caacupé. Conosco alcuni suoi parenti, la nonna di Diego Armando Maradona è sepolta qui. Personalmente non l’ho mai conosciuto, sono parroco da due anni ed era molto tempo che non veniva da queste parti. Ma

la gente è molto colpita e commossa.

Qui in diocesi non celebriamo le messe, in questo periodo, per il Covid-19, ma molte persone sono scese in strada a pregare. Tutti siamo stati colpiti dalla sua grandezza, certo unita ad alcuni problemi, come la tossicodipendenza. Non sempre il denaro fa bene alle persone. Ma tutti lo ricordano come una persona geniale”.

Una messa, molto sentita, l’ha invece celebrata, nell’arcidiocesi di Buenos Aires, padre José Maria “Pepe” Di Paola, coordinatore dei curas villeros, i sacerdoti delle periferie, che ricorda così Diego Armando Maradona: “È un grave colpo per tutta la gente, un simbolo per l’Argentina. Io stesso, pur non avendolo mai conosciuto direttamente, sono colpito, ho quasi la sua età, e ho seguito tutta la sua carriera.

Era un campione vicino ai poveri, ai quartieri, sapeva identificarsi con la gente e questo era successo anche in Italia, quando giocava con il Napoli.

È stato un figlio delle villas, senza dubbio, amava le persone più umili”.

Un giudizio condiviso da un altro cura villero, padre Adrián Bennardis, dell’Immacolata a Villa Soldati (anche qui è stata celebrata la messa, alla quale si riferisce il video che proponiamo) che esprime insieme alla sua comunità “molto dolore e sorpresa. Sapevamo che non godeva di buona salute, ma non si pensava a questo esito. Tutte le persone lo piangono, la sensazione è di aver perso un familiare, un parente, uno che faceva parte della nostra vita. Lascia un grande vuoto in tutta l’Argentina”. Da villa La Matanza, nella diocesi di San Justo, Gustavo García, impegnato nella pastorale della parrocchia ci confessa: “Viviamo un profondo dolore che solo Dio può capire e la Vergine può accompagnare. Preghiamo, piangiamo e stiamo in silenzio”.

Tra i più tristi, ci sono i giovani che giocano a calcio. “Club”, cioè società sportiva, è una delle tre “C” alla base della pastorale villera, ogni villa ha una squadra di calcio e si gioca un campionato amatoriale. Il giovane Diego, che gioca nella squadra della villa José León Suárez, ci spiega commosso:

“Porto questo nome non a caso, i mei genitori me lo hanno dato in omaggio al grande Maradona. Per noi che giochiamo a calcio, è stato per noi più di un riferimento”. E aggiunge: “in questi quartieri il pallone è importante”.

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L’ideale della “Patria Grande”. La dimensione di Diego Armando Maradona, però, non è solo argentina. Egli stesso ha declinato il suo impegno pubblico, decisamente “sbilanciato” nel campo della sinistra, nella prospettiva, tutta latinoamericana, della Patria Grande. Ce lo conferma da Bogotá Cristiano Morsolin, esperto di diritti umani: “Lo ricordo qui a Bogotá nel 2015 al Summit di Arte e Pace, promosso dal sindaco Petro, ad animare i giovani all’impegno politico, per la costruzione collettiva della pace, insieme all’argentina Estela Carlotta, nonna di Plaza de mayo. Ma soprattutto al forum mondiale di Porto Alegre, quando il presidente venezuelano Hugo Chávez ricordava la sua stretta amicizia con el pibe de oro, che lo accompagnava in meeting elettorali e spesso si recava a Cuba, a fianco di Fidel Castro”.

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