Non escludere in maniera sistematica dalle cure di terapia intensiva gli anziani e chi soffre di disabilità o demenza ma mettere in atto misure, anche in tempo di pandemia, che si fondano sui principi stabiliti nel preambolo della Costituzione federale secondo i quali “la forza di un popolo si misura sul benessere dei più deboli”. È quanto afferma la Commissione bioetica della Conferenza episcopale svizzera in un comunicato, prendendo posizione sul documento elaborato dall’Accademia svizzera delle scienze mediche (Asssm) che ha delineato le linee guida di etica medica per la terapia intensiva in caso di scarsità di risorse.
L’Accademia ha attualizzato a novembre le sue direttive alla luce della nuova ondata dell’epidemia e in caso di numero insufficiente di posti in terapia intensiva per trattare pazienti affetti da Covid-19. La Commissione bioetica dei vescovi svizzeri sottolinea nella nota come il documento dell’Accademia stabilisca giustamente come “principio etico fondamentale la non discriminazione in base all’età, disabilità o demenza definiti come criteri da non tenere in considerazione”. Quello che però preoccupa la Commissione dei vescovi è un “importante adattamento” che è stato inserito nelle linee guida, il fatto cioè che “il criterio di fragilità è ora incluso nel processo decisionale”. Questo parametro verrà valutato in base a una scala. Al livello 1 ci saranno le persone sane, robuste, attive, energiche e motivate. Al livello 9 ci sarà invece chi si avvicina alla fine della vita e le persone la cui aspettativa di vita è di meno di sei mesi. Insomma, in caso di scarsità di posti, persone in età avanzata, con gravi demenze e tumori a stadi avanzati potranno essere escluse dall’accesso alle cure intensive e alla ventilazione. Secondo la Commissione bioetica dei vescovi è proprio la “definizione di fragilità” ad essere “problematica” perché – si legge nella nota – “si basa solo sulla mobilità del paziente, sulla necessità di assistenza da parte di terzi e/o sul suo stato di demenza”. La Commissione fa notare come “questa scala escluda in gran parte le persone con disabilità preesistenti dalla terapia intensiva” e sottolinea: “La dipendenza dagli altri non significa che la prognosi sia pericolosa per la vita”. Secondo la Commissione, “altre definizioni di fragilità sono più appropriate, come ad esempio il modello di Fried”. Esse infatti “tengono conto dello stato di salute generale del paziente, considerando la sua capacità di sopportare cure mediche intensive, senza essere di per sé discriminatorio nei confronti degli anziani, affetti da demenza o disabilità”. Insomma, la Commissione bioetica della Conferenza episcopale svizzera sollecita l’Accademia delle scienze mediche a precisare meglio i propri criteri di smistamento dei pazienti, considerando altre definizioni di fragilità (“La fragilità secondo Fried”), che “consentano di non escludere in maniera sistematica gli anziani e chi soffre di disabilità o demenza”. Le misure restrittive decise dalle autorità durante la pandemia “hanno contribuito a proteggere le persone più vulnerabili”. “Si tratta allora – conclude la nota – di identificare correttamente chi sono i più fragili per poterli proteggere e sostenere in modo appropriato. Non dimentichiamo perché proteggiamo i più deboli: per reintegrarli nella nostra società dopo la pandemia”.