COLONNELLA – In questi mesi abbiamo riportato le testimonianze di numerosi medici che ci hanno raccontato come stiano affrontando, in Italia ed all’estero, l’emergenza coronavirus. Prima di intraprendere due nuovi viaggi, uno all’interno delle corsie ospedaliere e uno negli ambulatori di base del nostro territorio, vogliamo approfondire l’argomento da un altro punto di vista, quello del medico del lavoro.
Ospitiamo oggi il Dott. Luca Salvatore, 42 anni, colonnellese, diplomato al Liceo Classico Leopardi di San Benedetto del Tronto, laureato in Medicina e Chirurgia all’Università di Perugia e poi specializzato in Medicina del Lavoro.
Di cosa si occupa un medico del lavoro?
Essenzialmente di prevenzione. Potremmo quasi dire che io sia un medico che visita i sani, perché la mia professione consiste principalmente nel visitare periodicamente i lavoratori e verificare che siano idonei ad esercitare le loro mansioni. Ogni lavoro ha i suoi “rischi professionali”, come ad esempio il rumore nelle fabbriche o la movimentazione di carichi pesanti nei magazzini o anche l’uso prolungato del computer negli uffici. Devo quindi accertarmi che le persone non abbiano patologie che possano interferire con la loro capacità lavorativa, o che, viceversa, il lavoro che svolgono non stia causando loro dei problemi di salute. Se mi dovessi accorgere, durante la mia visita, che sta succedendo qualcosa di questo genere, il mio compito è di cercare di intervenire comunicando al datore di lavoro che quel lavoratore dovrebbe svolgere una mansione diversa, per evitargli danni alla salute (le cosiddette malattie professionali) che avrebbero anche ripercussioni sull’azienda. Inoltre collaboro alla formazione dei lavoratori, tenendo corsi di Primo Soccorso in azienda o anche altri incontri a tema. Posso essere considerato anche come un consulente: soprattutto in questo particolare periodo storico mi viene chiesto spesso di dare informazioni corrette su questo maledetto virus, visto che purtroppo tra i molti nemici che dobbiamo combattere c’è anche una frequente e dilagante disinformazione.
In quante e quali aziende esercita la sua professione?
Fortunatamente tantissime e di ogni tipo: dalle catene di supermercati alle scuole, dalle grandi fabbriche di centinaia di operai alle microimprese di due soci, dalle case di riposo agli alberghi. Si possono dire molte cose sul mio lavoro, ma di sicuro non è monotono!
I negozi della grande distribuzione possono rappresentare un facile veicolo di contagio. Bisogna fare maggiore attenzione al contatto con le persone o con gli oggetti?
Con entrambi, purtroppo. Quando si potrà ridere serenamente di questa brutta storia, potrei quasi raccogliere in un libro tutte le scene tragicomiche che ho visto di persona da cliente o che mi vengono raccontate dai commessi che seguo. Clienti con mascherine realizzate artigianalmente con materiali inverosimili o indossate nei modi più fantasiosi (sotto al naso, sotto al mento, o rimosse quando devono parlare con il commesso…), altri che usano indifferentemente lo stesso guanto con cui sono entrati nel negozio sia per toccare la verdura che per pulirsi il naso, convinti che sia una protezione magica che si igienizza da sé…
Quali sono i lavori in cui il rischio del contagio Covid risulta maggiore?
Ovviamente è più facile che si contagi un lavoratore che opera con altre persone, per esempio un infermiere o un commesso, rispetto a chi magari sta tutto il giorno in un ufficio da solo. Tuttavia si può avere anche l’effetto inverso, perché chi è più esposto sta più attento, mentre chi ha meno paura potrebbe abbassare la guardia.
Cosa è cambiato nella sua professione da quando è iniziata l’emergenza coronavirus?
Tutto! Sarei disonesto se dicessi che non ho paura; entro in contatto con decine di persone ogni giorno e in ognuno di questi incontri potrei contagiarmi con una semplice distrazione, quindi lavoro con moltissima più tensione di quanta ne avessi prima di questa catastrofe. Devo proteggermi con mascherine FFP2, scomode ma efficaci, e ricordarmi di evitare qualsiasi contatto, anche la semplice stretta di mano che simboleggiava il rapporto umano oltre a quello medico-paziente, che ho sempre cercato di privilegiare. Inoltre anche quando sono a casa, con la mia famiglia, ormai sono abituato all’idea che il telefono possa squillare in qualsiasi momento per rispondere a situazioni di emergenza in aziende che seguo, cosa che prima fortunatamente avveniva molto di rado.
E la sua vita personale come è cambiata?
Il destino sembra avere un discutibile senso dell’umorismo, perché a Febbraio 2020 sono diventato padre, appena prima dell’inizio dell’emergenza. La nostra bambina è una gioia immensa per tutti, ride sempre ed è affettuosissima, ma purtroppo molti dei nostri parenti non sono ancora nemmeno riusciti ad incontrarla. Spero che presto possa tornare a venire sbaciucchiata da tutti quelli che le vogliono bene, in tranquillità e senza mascherina. Sono una persona che ama stare insieme agli altri e mi mancano tantissimo i momenti trascorsi in compagnia degli amici, ma so che è un sacrificio che stiamo facendo tutti, che finirà presto e che è per proteggere tutti.
Quali sono le raccomandazioni che si sente di fare in generale ai lavoratori?
È più importante che mai usare la testa in questi giorni! Evitate di andare a lavorare se avete qualsiasi sintomo sospetto, o se siete entrati a contatto con una persona risultata positiva al Coronavirus. Chiamate il vostro medico e chiedete come dovete comportarvi. Un singolo lavoratore che si rechi a lavoro con sintomi può causare la messa in quarantena di altri colleghi e quindi mettere in ginocchio un’intera azienda.
Che messaggio si sente di dare ai nostri lettori?
Teniamo duro, non abbassiamo la guardia e rimaniamo uniti. La medicina sta sconfiggendo questo nemico, ma una volta che la pandemia sarà alle nostre spalle ci sarà da ricostruire il tessuto sociale. Molti di noi hanno perso delle persone care, moltissimi di noi hanno sofferto economicamente, cerchiamo di ricordarci anche di loro quando sarà il tempo di festeggiare, fortissimo e tutti insieme, finalmente abbracciandoci senza paura e ripartendo dopo la tempesta. Siamo un popolo che ne ha passate tante e molto peggiori, ma, come diceva lo scrittore Tolkien, un autore che mi ha influenzato in tutto, Le radici profonde non gelano. È quindi importante in questi momenti tenere vive queste radici. Io sono nato e cresciuto in una comunità ed in una famiglia in cui il Cristianesimo è una realtà che si respira costantemente. Ad esempio, durante il tremendo lockdown di primavera, la vista del nostro parroco don Dino Straccia che passava da solo per le strade deserte di Colonnella ad impartire la benedizione, rimarrà impressa nella mia mente come uno dei ricordi più profondi di quel periodo così tragico: per me, come per altri, è stato come un segnale di speranza che ci ricordava che il mondo non era finito e che i valori che ci uniscono erano ancora vivi e saldi.