“Stare chiusi in casa ci ha un po’ tramortiti, sospesi, incattiviti, immersi nel dolore. Abbiamo rischiato, tentando di chiudendoci in noi stessi, di ripescare una sensazione di fallimento. Poi, qualcosa è cambiato. All’inevitabile tempo dell’affanno si è fatto spazio il tempo in cui si sono ritrovate le parole”. Così p. Rinaldo Paganelli, sacerdote dehoniano, nel libro “Rinascerai” (ed. la meridiana) ripercorre il “tempo sospeso dal Covid-19” come “dono di grazia”. A firmare la prefazione mons. Valentino Bulgarelli, direttore dell’Ufficio catechistico nazionale. Un testo in cui “far germogliare pensieri nuovi, necessari per qualsiasi cambiamento”.
È un tempo nel quale c’è stata la possibilità per molte persone di creare quegli spazi di attenzione e silenzio importante, profondo, che ha restituito ai più la possibilità di restituire elementi importanti. Ho voluto fare questo percorso avendo anzitutto attenzione per quelli che sono stati gli eventi, ripercorsi in un breve excursus. A partire da questi, ho cercato di individuare elementi di novità.
Ad esempio?
Per quanto riguarda gli eventi, ho avuto attenzione per gli elementi di maggior difficoltà o di reazione. Abbiamo visto un senso di solidarietà che si è fatto forte dentro la difficoltà, un senso di speranza allo stesso tempo. Tutto questo si è trasferito poi nella possibilità di dare nuove indicazioni a questo mondo.
Il tempo dell’assenza dell’Eucaristia è diventato un’occasione per riscoprire il valore dell’Eucaristia.Quali momenti ha reputato importanti in quella fase?
Quella di Papa Francesco è stata una presenza che in quel tempo ha saputo dare indicazioni non soltanto con delle espressioni ma con gesti straordinari. E credo che questo abbia caratterizzato in modo intenso la vita di tante persone. Non è una novità se dico che la celebrazione dell’Eucaristia al mattino, presieduta dal Papa a Santa Marta, è stata un riferimento importante. Ma ancora di più lo è stata la sua camminata lungo via del Corso quella domenica pomeriggio quando si è fermato a pregare davanti allo storico crocifisso nella chiesa di San Marcello. Straordinaria è stata la preghiera la sera del 27 marzo dove ho visto chiaramente la sua azione di Pontefice, di questa realtà in cui Francesco costruisce un ponte tra Dio e l’umanità.
Come comunità cattolica, a suo avviso, che cosa abbiamo imparato dall’assenza delle Messe con i fedeli?
Credo che abbiamo imparato a ritrovare il senso della comunità. E quindi la necessità di ridare forza a quei segni che avevamo consumato nell’abitudine. Cioè la necessità di salutarci, di toccarci, di incontrarci che erano diventati quasi scontati. Adesso sono diventati un’esigenza, accompagnata da un bisogno di trovare modalità nuove.
Che cosa ci è rimasto delle ore passate in casa durante il lockdown, tra marzo e maggio?
Le parole possono dare coraggio e risvegliare il significato di ciò che abbiamo vissuto. Certe parole non esistono già pronte. Le raccogliamo e le incontriamo nelle persone che vivono e che ascoltano. Magari ci vorrà ancora molto silenzio per raccogliere come balsamo sulle nostre ferite quello che abbiamo attraversato. Credo che abbiamo la possibilità di coniugare il nostro silenzio al silenzio di Dio. Lo abbiamo sentito in particolare in quei momenti:
è il tempo tra una nota e l’altra, è lo spazio bianco tra le sue parole perché possano essere intese e calate dentro il nostro cuore.