DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.
È molto bella la seconda lettura di domenica 27 dicembre, tratta dalla lettera agli Ebrei.
Dice così: «Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava».
Ancora: «Per fede, anche Sara, sebbene fuori dall’età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso».
Ancora: «Per fede, Abramo offrì Isacco…il suo unigenito figlio…egli pensava, infatti, che Dio è capace di far risorgere anche dai morti…».
Se continuassimo a leggere oltre i versetti che la liturgia, ci propone, scopriremmo anche Abele, Noè, Isacco, Giacobbe, Giuseppe, Mosè e tanti altri che vissero, agirono «per fede…».
La prima considerazione che possiamo fare è che la Scrittura è quanto di più lontano si possa pensare da un manuale di teologia o di morale o da un trattato filosofico.
La Scrittura racconta una storia: storie personali, storie familiari, storie di popolo e di popoli, comunque storia e storie di una relazione, quella tra Dio e l’uomo, quella tra la fedeltà eterna di Dio e il tentativo umano di fidarsi e affidarsi a Lui, quella tra la fedeltà di Dio e il nostro toccare con mano, una volta sperimentata questa fedeltà, le grandi meraviglie di Dio nella storia di ciascuno di noi.
Questo è il significato di quelle due paroline, “per fede”.
Per fede…cioè perché ho fiducia in Colui che mi parla, perché credo nel suo amore, perché credo nel suo volere il mio bene, perché sperimento il suo essermi vicino sempre, perché so che su di Lui posso sempre contare, perché tocco con mano il suo accompagnarmi nella vita, perché sperimento ogni giorno il suo abbraccio…e il suo abbraccio di misericordia.
È la storia di Abramo a cui Dio promette una ricompensa molto grande. «Signore, che cosa mi darai?». Sono vecchio, mia moglie è vecchia, sono senza figli, senza discendenza…
«Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle…tale sarà la tua discendenza». Ed Abramo «credette al Signore».
È la storia di Sara, sua moglie…è la storia di Simeone e della profetessa Anna che la pagina evangelica ci presenta oggi nel loro primo incontro “faccia a faccia” con Gesù, un uomo ed una donna che, per fede, hanno sperimentato che Dio solo rimane quando tutto il resto sparisce, che solo Dio può colmare il loro profondo desiderio di vita.
Al centro dell’incontro tra Gesù e Simeone c’è un qualcosa di cui, questi mesi, sentiamo enormemente la mancanza…c’è un abbraccio. L’anziano, al tempio di Gerusalemme, prende tra le sue braccia il Bambino Gesù. Ed è questa l’immagine più concreta della fede. Non semplice adesione intellettuale ma fiducia, affidamento, adesione, dono. L’abbraccio è l’unione del cuore e della vita, la gioia dell’incontro, il desiderio di gridare “sei parte della mia vita, di me”.
Tanto che Simeone può poi rivolgersi a Dio e dire: «Ora puoi lasciare o Signore, che il tuo servo vada in pace», cioè “in te ho tutto, nell’abbracciarti ho tutto, che altro posso desiderare?”.
La profetessa Anna, scrive Luca nel Vangelo, «aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere». Anna non vive una forma di penitenza, ma ciò che fa è il segno evidente della sua scelta fondamentale, quella di vivere la relazione, l’incontro, la presenza del suo Signore, un Dio che avrebbe potuto “contestare” per quanto le aveva sottratto dalla vita ma a cui si affida e di cui si fida ciecamente per continuare a vivere.
Ed è proprio “per fede”, per questa sua fede che riconosce Dio nel figlio di Maria e Giuseppe, quel Bambino che, invece, agli occhi di tutti gli altri, appare un comune neonato.
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