DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.
Nella domenica appena passata la liturgia ci propone ancora una volta, come nel giorno di Natale, la lettura dei primi 18 versetti del Vangelo di Giovanni, quella parte del Vangelo di Giovanni che conosciamo come il “prologo”.
A prima vista è un testo difficile, un po’ complicato…proviamo oggi a farlo nostro e scopriremo una Parola ricca di fascino.
«In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio». Possiamo tradurre meglio così: “In principio era la Parola, e la Parola era presso Dio e la Parola era Dio “.
La parola è una facoltà meravigliosa: ci consente di rivolgerci, di aprirci all’altro. Parlare significa volgersi verso un altro, entrare in dialogo con qualcuno.
In principio, quindi, ovvero all’origine e al fondo di tutto, sta questo atteggiamento di apertura, di disponibilità, che è Dio stesso: la Parola. Non uno strano essere solitario ma “Qualcuno” che cerca qualcun altro.
Dio c’è ed è qualcuno che puoi incontrare, Dio c’è e si comunica, e comunica. Un Dio che in sé ha la Parola, che in sé è Parola, è relazione.
E questo Verbo, questa Parola, ci dice ancora Giovanni, «si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi».
Dio divenne carne: di nuovo Giovanni ci allontana dall’idea di Dio come di un essere lontano e statico. Dio diviene, cioè cambia, si adegua, viene incontro all’altro. Non per opportunismo, bensì per restare fedele a quello che Egli è originariamente: Parola, apertura verso l’altro, amore.
Lo scrive anche San Paolo nella sua lettera agli Efesini: Dio ci benedice, cioè dice bene di noi, Dio ci sceglie, Dio ci fa figli, Dio ci ama; sono unicamente questi i motivi del suo venire e affondare le sue radici nella nostra terra, nella nostra vita, nella nostra storia, nella nostra natura, nella nostra carne.
Perché quando si ama, ci si parla, certo, ma poi, presto, si desidera avvicinarsi, condividere esperienze, unirsi l’uno all’altro.
E così anche Dio, la Parola, diviene carne, si fa uomo.
E questo sta a significare anche che è nella nostra esperienza del limite, nella fatica del camminare, nella continua ricerca, nell’abbandono come nella mancanza di fiducia, nel dubbio, in tutta la nostra quotidianità che il Signore viene ad incontrarci, ci vuole incontrare, scegliendo volontariamente e liberamente di accompagnarci da “uomo” e non da “dio altro da me”.
Un teologo scriveva così: “La Parola venne dunque nel mondo. La vita eterna si scelse il luogo di un cuore umano. Decise di abitare in questa tenda tremante. Dio nella sua eterna fortezza, nella sua inaccessibile luce, era inespugnabile, Ma Dio nell’abitacolo di un cuore, come era facile da raggiungere, da colpire. Quale tallone di Achille si era Dio procurato, in che pazzia si era mai gettato.
Ma sua delizia è dimorare tra i figli dell’uomo…questo piacere ha voluto gustare, un gusto che gli è costato molto. Solo un cuore poteva progettare simili avventure, follie che conviene non raccontare a chi ha il ben dell’intelletto, che conviene passare sotto silenzio, che si covano solo in un’alleanza fra carne e sangue…Venne così il Figlio nel mondo. Il mare divino cacciato di forza nella minuscola fonte di un cuore d’uomo, l’immensa quercia della divinità nel piccolo fragile vaso di un cuore terreno. Tutti i tesori della sapienza e scienza di Dio ammucchiati nella camera angusta dell’umana povertà. La visione dell’eterno Padre avvolta nelle congetture di una fede offuscata. La roccia della sicurezza divina trainata sulle onde di una speranza terrena…il suo cuore al centro del mondo ”.
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