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Papa Francesco: l’incontro con Gesù non si dimentica mai

Fabio Zavattaro

La pagina di questa domenica del quarto Vangelo si apre ancora con la figura di Giovanni, che stava sulla riva del fiume Giordano, il giorno dopo l’evento della discesa dello Spirito Santo su Gesù, Messia ancora sconosciuto a Israele. Il giorno dopo, Gesù è di nuovo vicino al fiume, e Giovanni lo vede tra la folla e “fissa lo sguardo su di lui che passava”. Il compito del Battista sta proprio nel riconoscere “l’agnello di Dio”, come leggiamo in Giovanni. Riconoscerlo e indicarlo a coloro che saranno poi i primi discepoli del Signore, prima di uscire di scena silenziosamente: Giovanni è colui che vede e capisce, è il vero testimone che subito dopo torna nel nascondimento. Dai Vangeli sapremo la sua morte.
I due discepoli lasciano Giovanni e seguono Gesù. All’inizio di ogni vocazione, di ogni cammino, c’è sempre la testimonianza di qualcuno che ci aiuta a percepire la voce di Dio, a scorgere il suo volto, anche nel volto del fratello. “Che cosa cercate” chiede Gesù ai due: sono le prime parole che pronuncia nel quarto Vangelo, parole che interrogano e mettono a nudo motivazioni e desideri dei discepoli. “Maestro dove dimori” chiedono Andrea e il suo compagno a Gesù, che li invita a seguirlo: “venite e vedrete”. Nella risposta del Signore non c’è un indirizzo, “abito a Cafarnao o a Nazaret”, dice il Papa all’Angelus: “Non un biglietto da visita, ma l’invito a un incontro. I due lo seguono e quel pomeriggio rimangono con lui. Non è difficile immaginarli seduti a fargli domande e soprattutto ad ascoltarlo, sentendo che il loro cuore si riscalda sempre più mentre il Maestro parla. Avvertono la bellezza di parole che rispondono alla loro speranza più grande”.
Il tempo passa velocemente e arriva la sera e Giovanni, nel suo Vangelo, può annotare l’ora: “erano circa le quattro del pomeriggio”. Commenta il Papa: “ogni autentico incontro con Gesù rimane nella memoria viva, non si dimentica mai. Tanti incontri li dimentichi, ma l’incontro vero con Gesù rimane sempre. E questi, tanti anni dopo, si ricordavano anche l’ora, non avevano potuto dimenticare questo incontro così felice, così pieno, che aveva cambiato la loro vita”.
Andrea poi incontrerà il fratello Simone al quale dirà: abbiamo trovato il Messia. Lo porta da Gesù che, “fissando lo sguardo su di lui” lo chiamerà non più Simone ma Cefa, cioè Pietro. Interessante notare che la pagina del Vangelo si conclude con le stesse parole, con lo stesso sguardo con cui era iniziata: Giovanni ha guardato e ha riconosciuto il Messia. Gesù ha guardato e ha riconosciuto colui al quale affiderà la chiesa.
Ogni chiamata di Dio è un’iniziativa del suo amore. Sempre è lui che prende l’iniziativa, ti chiama. Dio chiama alla vita, chiama alla fede, e chiama a uno stato particolare di vita: io voglio te qui”. Dice Francesco: sono modi diversi di “realizzare il progetto di Dio”, e ogni chiamata è “individuale, perché Dio non fa le cose in serie”. La gioia più grande del credente, per il Papa, “rispondere a questa chiamata, offrire tutto sé stesso al servizio di Dio e dei fratelli”.
Angelus alla vigilia della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che si celebra ogni anno dal 1966. Appuntamento non rituale ma sostanziale, contributo a quel celebrare insieme che è auspicio e speranza ancor prima del Concilio Ecumenico Vaticano II, indetto da Papa Giovanni XXIII. Già da Patriarca di Venezia, Angelo Giuseppe Roncalli è attento all’ecumenismo: quando arriva nella città lagunare trova una realtà che opera già dal 1947, come luogo di dialogo con chi crede diversamente.
La Settimana è chiamata ogni anno a riproporre il cammino del dialogo tra i cristiani: “rimanete nel mio amore: produrrete molto frutto” il tema proposto. È preceduta da una Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo fra cattolici e ebrei, che quest’anno mette al centro della comune riflessione il libro di Qohelet, il cui autore ci fa riflettere sul senso della vita e sui limiti della condizione umana, anche attraverso una sorta di ritornello che torna nelle pagine del testo: “vanità delle vanità, tutto è vanità […] Tutto ha il suo momento, e ogni evento ha il suo tempo sotto il cielo”.

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