I beni confiscati sono un’“opportunità di impegno responsabile per il bene comune”. Di questo è convinto don Luigi Ciotti, presidente di Libera, che, a venticinque anni dalla legge n. 109/96 per l’uso sociale dei beni confiscati, ha presentato un bilancio tra positività e criticità. Anche se non mancano le difficoltà, gli esempi di beni confiscati già riutilizzati che stanno avendo un impatto positivo sulla comunità non mancano. Raccontiamo l’esperienza di Genova e Acquaviva delle Fonti.
La parrocchia di Santa Maria delle Vigne, nel centro storico di Genova, ha partecipato a due bandi del Comune e si è aggiudicata due negozietti e 12 appartamenti. “I due negozietti sono gestiti da senza fissa dimora – racconta mons. Nicolò Anselmi, vescovo ausiliare di Genova e parroco di Santa Maria delle Vigne -: in uno ci sono oggetti, recuperati qua e là, di pre antiquariato, rimessi in ordine e dati a offerta libera, la cifra raccolta in parte viene trattenuta da chi gestisce il negozietto e un’altra devoluta alla parrocchia. L’altro negozietto è di riparazioni, si chiama ‘Mani d’oro’, dove c’è un senza fissa dimora che sa riparare un po’ di tutto: oggetti artistici, elettrici”.
Nei 12 appartamenti sono accolti senza fissa dimora.
“Ci abitano una quarantina di persone, famigliole con bambini piccoli, singoli. Si tratta – spiega il presule – di persone segnalate dalla Caritas o che conoscevamo noi in parrocchia, sia italiani sia stranieri. C’è un gruppo di volontari della parrocchia che segue queste persone quotidianamente finché non trovano un lavoro. Diamo in comodato gratuito gli appartamenti, loro si pagano le utenze.Nel momento in cui si inserissero bene e avessero trovato un lavoro stabile, nella cui ricerca li aiutiamo, chiederemmo di lasciare la casa per far posto a chi si trova in un disagio maggiore. Ma non fissiamo scadenze, in questi tempi di precarietà”.
Per tre appartamenti il bando è stato vinto insieme alla Fondazione Auxilium, che si occupa della parte amministrativa, mentre la cura pastorale delle persone è sempre affidata ai parrocchiani delle Vigne. “Pur avendo vinto noi alcuni bandi – prosegue mons. Anselmi – abbiamo poi dato in gestione i beni a parrocchie vicine. Secondo noi sarebbe bello che ogni comunità cristiana, ogni parrocchia potesse prendersi cura, anche attraverso questi beni confiscati, di persone meno fortunate.
L’accompagnamento quotidiano delle persone è decisivo, non basta dare un appartamento, la fraternità giorno per giorno fa la differenza.
Perciò, parlando con il Comune e con la Regione abbiamo suggerito umilmente anche di pensare a questo aspetto quando vengono assegnate le case del Comune e delle agenzie regionali. Vengono rimesse in ordine e consegnate ma, se non c’è un accompagnamento dei destinatari, questi beni sono usati male e anche rovinati. Diverso è quando c’è una comunità vicina. È molto impegnativo ma molto gratificante.
Queste persone sono recuperate, reinserite.
Per quel che riguarda noi, molte partecipano all’Eucaristia domenicale, si sono riavvicinate alla fede, hanno battezzato i figli, sono entrate a far parte della parrocchia”.
Il vescovo ausiliare mette in luce anche un altro aspetto. “Alcuni architetti si sono prestati gratuitamente per rimettere a nuovo gli appartamenti. Inizialmente li abbiamo ristrutturati con i nostri soldi, con l’aiuto della Provvidenza e di tanta generosità.Dare una casa a chi non ce l’ha è una cosa bellissima secondo me. Speriamo che le Istituzioni in un secondo momento ci aiutino, ma finora la Provvidenza ci ha accompagnato.Ristrutturare 12 appartamenti non è stata cosa da poco, soprattutto perché, servendo come rifugio per spacciatori e per la prostituzione, erano distrutti. Nel momento in cui siamo andati a svuotarli anche l’azienda dello smaltimento dei rifiuti della città ci ha aiutato, mettendoci a disposizione tanti furgoncini gratuitamente per buttare via la spazzatura che c’era dentro”.
Da Nord a Sud. Ad Acquaviva delle Fonti in due beni confiscati ci sono una bottega del commercio equo solidale e biologico e l’Emporio solidale “Le sette ceste”. La prima, la “Bottega del Cuore”, è gestita dalla parrocchia di Santa Maria Maggiore. “Nel 2015 – dice don Mimmo Natale, direttore dell’Ufficio diocesano per i problemi sociali e il lavoro di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti e parroco di Santa Maria Maggiore oltre che responsabile della Bottega – con i giovani della parrocchia abbiamo deciso di aderire al bando del Comune per il primo bene confiscato che veniva dato in gestione ad Acquaviva per
dare anche un segnale di coraggio alla città sul fronte della legalità”.
Nel 2016 viene inaugurata la struttura, con la collaborazione di Libera. “Un altro aspetto che ci stava a cuore era creare una cultura un po’ più attenta al consumo consapevole, all’ambiente, al mondo del lavoro. Oltre al circuito del commercio equo e solidale abbiamo voluto inserire anche altre scelte per la nostra bottega: per esempio il solidale italiano, con l’esperienza di Libera Terra, e prodotti del territorio legati al biologico, sicuri e a chilometro zero.Quindi abbiamo iniziato a proporre prodotti con questo taglio nel rispetto dell’ambiente rispondendo all’invito di Papa Francesco a cambiare stili di vita”.
La Bottega del Cuore organizza iniziative sociali e contro la criminalità organizzata e attua in ogni ottobre missionario campagne per avvicinare bambini e ragazzi alla scoperta dei valori solidali. Non solo: “Nel progetto abbiamo previsto che ogni mese ci fosse un evento culturale, una serata a tema per aumentare la consapevolezza nella gente. Il progetto si è ampliato anche ad alcune realtà del Progetto Policoro che erano nate, c’è un giovane che sa lavorare il legno e fa bomboniere, abbiamo creato una rete”. Durante il lockdown, i volontari hanno mantenuto aperta la Bottega, nel rispetto delle norme vigenti, non abbandonando le relazioni con i consumatori e attuando in alcuni casi consegne a domicilio.“Resta una piccola realtà ma che ha un’attenzione continua – precisa don Natale -. Anche l’amministrazione in questi anni quando ha incominciato a voler investire sul centro storico, ci coinvolge in varie iniziative, ciò significa che il nostro messaggio sta arrivando, siamo protagonisti e presenti sul territorio”.
L’Emporio, inaugurato a gennaio 2020, è gestito dalla Caritas diocesana, diretta da mons. Domenico Giannuzzi. In questi mesi è diventato per il territorio un riferimento per le famiglie e le persone in difficoltà. Ad inizio gennaio 2020 i nuclei familiari sostenuti erano un’ottantina, per un totale di circa 300 persone. Nell’arco di pochi mesi, con l’accesso di nuove parrocchie all’interno del progetto Emporio, il numero di famiglie sostenute è diventato superiore a 130.Il numero è destinato ad aumentare con l’accesso delle ultime parrocchie della città, arrivando a 350 nuclei familiari entro la fine del 2021.L’Emporio distribuisce quotidianamente beni di prima necessità alimentare, prodotti per l’igiene personale e della casa, materiale scolastico, abbigliamento e scarpe, prodotti per l’infanzia e farmaci da banco per neonati e anziani. Ogni giorno, inoltre, distribuisce prodotti freschi come pane, frutta e verdura.
Nei mesi da marzo a giugno, in seguito all’emergenza Covid-19, l’Emporio, collaborando con i servizi sociali, il Pronto Intervento sociale e le associazioni di volontariato territoriali, ha incrementato i suoi servizi. Sono stati sostenuti più di 80 nuclei familiari (italiani e stranieri) non iscritti ai Centri d’ascolto Caritas che denunciavano solo una momentanea difficoltà economica legata alla pandemia.
C’è stato un 40-50% di richieste in più.
Terminato il periodo di lockdown l’Emporio ha continuato il suo servizio anche a favore di famiglie positive o in quarantena preventiva. Sono state elargite, in meno di due mesi, circa 4 tonnellate di beni alimentari. Dalla fine del lockdown a oggi vi è stata un’oscillazione della richiesta. Attualmente si registra un aumento di circa il 20% di nuclei familiari in disagio economico o marginalità sociale rispetto agli anni precedenti.
Il bene confiscato dove si trova l’Emporio è uno spazio grandissimo, su due piani. “Finora abbiamo utilizzato solo la parte per gli alimenti e l’igiene personale e della casa – ricorda don Natale -. C’è un altro spazio che vorremmo utilizzare per i vestiti, ma ci siamo un po’ fermati per il Covid. In questo caso c’è l’idea del riciclo e del riuso degli abiti, ci sono progetti che stiamo valutando in diocesi”.