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La fiducia all’esecutivo non basta, c’è bisogno di restituire la fiducia ai cittadini

Stefano De Martis

Anche il Senato ha rinnovato la fiducia al governo. I Sì sono stati 156, i No 140, 16 le astensioni, con finale tumultuoso e strascichi polemici per due voti favorevoli arrivati proprio mentre la presidente Casellati stava per chiudere le operazioni. Com’era nelle previsioni l’esecutivo non ha raggiunto la maggioranza assoluta (161 voti) com’era invece accaduto alla Camera. Ma nel voto di fiducia è sufficiente che i voti favorevoli siano più di quelli contrari e nella storia della Repubblica ci sono ben tredici precedenti di governi, di ogni colore, senza la maggioranza assoluta.

Il problema formale quindi non si pone. Il governo ha ricevuto la fiducia dal Parlamento e non ha senso tirare in ballo il Quirinale. La questione è tutta politica.

Sullo scostamento di bilancio, necessario per finanziare i nuovi ristori economici, non dovrebbero (il condizionale è d’obbligo) esserci problemi perché sia Renzi sia l’opposizione di centro-destra avevano già dichiarato l’intenzione di votare a favore. Nei passaggi successivi l’esecutivo si troverà nella difficile condizione di doversi muovere con equilibri parlamentari precari, problematici soprattutto a livello dei lavori in commissione, snodo cruciale del procedimento legislativo. Di qui la necessità di allargare l’area dei consensi e di irrobustire la maggioranza anche intervenendo sulla compagine ministeriale, come lo stesso premier Conte ha annunciato in Aula.

L’intervento del presidente del Consiglio in Senato ha ripreso sostanzialmente quello tenuto ieri alla Camera. Poche le correzioni. Da segnalare, in particolare, una maggiore attenzione alla politica internazionale, con lo sguardo agli Stati Uniti alla vigilia dell’insediamento di Biden. “Se non interveniamo adesso rischiamo di compromettere il futuro dei nostri figli – ha detto Conte in sede di replica – occorrono investimenti economici strutturati, dobbiamo investire sul futuro e non possiamo farlo creando una crisi di governo o cercando di far cadere un governo”. Nel dibattito e nelle dichiarazioni di voto hanno preso la parola tra gli altri anche Renzi e Salvini. Il leader di Italia Viva, che si è astenuta come a voler tenere aperta una possibilità di recupero, ha parlato di “un mercato indecoroso di poltrone” e ha criticato Conte per non essersi dimesso praticando quello che ha definito un “arrocco istituzionale”, mentre ora ci sarebbe bisogno di “un governo più forte”. Anche il leader della Lega ha puntato il dito contro i “poltronari” e ha affermato che “mettere in discussione un governo che ha fallito su tutto non è un diritto ma un dovere di ogni cittadino”.

Nella lunga giornata parlamentare – tempi dilatati non solo per il finale caotico ma anche per le misure di sanificazione – hanno trovato posto l’omaggio allo scomparso senatore Emanuele Macaluso, storico dirigente del Pci, e, a margine dei lavori, un vertice del centro-destra per concordare un atteggiamento comune. Da segnalare il lungo applauso dai banchi del centro-sinistra all’ingresso nell’emiciclo della senatrice a vita Liliana Segre e, forse unico momento unitario, quello di tutti i gruppi quanto il premier ha fatto cenno a Paolo Borsellino che oggi avrebbe compiuto 81anni.

Superato questo doppio passaggio parlamentare c’è da registrare, innanzitutto, che si è evitato di interrompere l’azione del governo in un momento delicato e grave della vita del Paese. Ma le sfide da affrontare restano quelle che tutti ben conoscono, sia sul piano sanitario che su quello economico-sociale. La fiducia all’esecutivo non basta, c’è bisogno di restituire la fiducia ai cittadini e questo impegno, pur nella diversità dei ruoli, riguarda tutte le forze politiche.

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