Pubblichiamo l’articolo dell’Istituto Teologico Marchigiano a firma del Prof. Mario Florio
Nel 2016, a Lund (Svezia), il 31 ottobre Papa Francesco ha commemorato con i rappresentanti della Federazione Luterana Mondiale due eventi: i 50 anni del dialogo internazionale cattolico-luterano, iniziato ufficialmente all’indomani della conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II (8 dicembre 1965), e i 500 anni della Riforma (31 ottobre 1517 – 31 ottobre 2017). Proprio in quella stessa città nel 1952 veniva sancito dalla Conferenza mondiale della Commissione Fede e Costituzione del neonato Consiglio Ecumenico delle Chiese (Amsterdam 1948) un principio decisivo per lo sviluppo del dialogo ecumenico (bilaterale e multilaterale, locale e internazionale), quello stesso principio viene autorevolmente richiamato nel recentissimo Vademecum promulgato dal Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani e indirizzato a tutti i vescovi della Chiesa Cattolica: Il vescovo e l’unità dei cristiani: vademecum ecumenico (5 giugno 2020). L’autorevole documento intende mettersi al servizio dell’attuazione di un tratto distintivo del ministero episcopale chiamato ad essere in ogni Chiesa particolare «il principio visibile e il fondamento dell’unità» (LG § 23; il testo rinvia al celebre assioma attestato da S. Cipriano, “Episcopus in Ecclesia et Ecclesia in Episcopo”). Andiamo dunque al passaggio saliente del Vademecum:
«Le verità enunciate congiuntamente nel dialogo teologico devono poter trovare un’espressione concreta attraverso un’azione comune nella cura pastorale, nel servizio al mondo e in ambito culturale. Il Direttorio ecumenico afferma che il contributo che i cristiani possono offrire in questi campi della vita umana “è più efficace quando lo danno tutti insieme e quando si vede che sono uniti nell’operare” (§162). “Essi, quindi”, continua il Direttorio, “desidereranno compiere insieme tutto ciò che è consentito dalla loro fede” (§162). Queste parole fanno eco a un importante principio ecumenico, noto come il principio di Lund, formulato per la prima volta nel 1952 dal Consiglio Ecumenico delle Chiese, secondo il quale i cristiani devono “agire insieme in tutti gli ambiti, eccetto dove profonde differenze di convinzione li obbligano ad agire separatamente” (Terza conferenza mondiale della Commissione Fede e Costituzione). Lavorando insieme, i cattolici iniziano a vivere in profondità e nella fede la comunione che già sperimentano con gli altri cristiani» (§ 31).
Il richiamo al principio ecumenico di Lund, recepito dal Decreto Unitatis Redintegratio (1964), dal Direttorio per l’ecumenismo (1993) e ribadito anche dalla Charta Oecumenica per l’Europa (2001), è collocato nel paragrafo iniziale della parte del Vademecum dedicata al dialogo della vita per mettere ancora maggiormente in risalto l’ampia e differenziata modalità di attuazione dell’impegno ecumenico nella vita del cristiano e delle Chiese. Nella Prefazione al testo viene ricordato al vescovo che il suo ministero è un servizio di unità a tutti i livelli, ivi compreso quello ecumenico. A questo riguardo «il vescovo non può considerare la promozione della causa ecumenica semplicemente come uno dei tanti compiti del suo ministero diversificato, un compito che potrebbe o dovrebbe essere rimandato davanti ad altre priorità, apparentemente più importanti». Ne segue che l’impegno ecumenico del vescovo «non è una dimensione opzionale del suo ministero, bensì un dovere e un obbligo». Che chiarezza! Che responsabilità!
Al dialogo della vita è strettamente collegato il dialogo della verità. In questo campo il vescovo è chiamato a servire l’unità dei fedeli cattolici e a prendersi cura anche degli altri fratelli cristiani in vista di un cammino di riconciliazione che sia autentico risanamento delle ferite del passato e progresso verso una comunione sempre più piena. Il punto di partenza di questo servizio è costituito dal riconoscimento della qualità ecclesiale dei fratelli e sorelle di altre Chiese e Comunità ecclesiali (cf Unitatis Redintegratio cap. III). Questa qualità si fonda come dato basilare sull’unità nel battesimo e nella fede. Da qui il compito del mutuo riconoscimento dello stesso battesimo attraverso il dialogo bilaterale (sia locale come internazionale), giovandosi di quanto già proposto a livello multilaterale dal BEM o Documento di Lima (1982) proposto dalla Commissione Fede e Costituzione del CEC alla recezione da parte delle singole Chiese. Il Vademecum mette a fuoco questo cammino affermando che il dialogo della verità «condotto a livello nazionale e diocesano può svolgere un ruolo particolarmente importante riguardo al significato e alla valida celebrazione del battesimo (cfr. DE §94)» (§ 29).
Il battesimo è il vero fondamento anche dell’altra dimensione del cammino ecumenico, il dialogo della carità:
«Ogni ecumenismo è battesimale. Se i cristiani riconoscono tutti gli esseri umani come fratelli e sorelle in virtù del loro Creatore comune, riconoscono un legame molto più profondo con i battezzati di altre comunità cristiane che sono loro fratelli e sorelle in Cristo, conformemente al Nuovo Testamento e ai Padri della Chiesa. Pertanto, il dialogo della carità attiene non solo alla fratellanza umana, ma anche ai legami di comunione istituiti dal battesimo» (§ 25).
Il contesto ultimo in cui situare l’impegno ecumenico sia del vescovo come del popolo di Dio a lui affidato è costituito dalla sinodalità come metodo e stile tanto del ministero episcopale come della vita pastorale delle singole comunità (cf § 4).