Prima la Gran Bretagna, poi il Sudafrica, ora il Brasile: le nuove “versioni” del Sars-Cov-2 sono al centro dell’attenzione degli scienziati e dell’opinione pubblica. Cosa ne sappiamo? Sono più pericolose? Possono davvero cambiare la traiettoria della pandemia e mettere a rischio l’efficacia di vaccini e terapie? Ad affrontare la questione è la direzione scientifica dell’Inmi Lazzaro Spallanzani di Roma in un articolo di approfondimento sulle mutazioni del genoma virale del Sars-Cov-2 pubblicato sul sito di divulgazione scientifica www.scienzainrete.it.
In epidemiologia, spiega il team di esperti guidati da Giuseppe Ippolito, “l’emergere di nuove varianti è un evento prevedibile, non è di per sé motivo di preoccupazione, e il virus Sars-Cov-2 non fa eccezione. Ci sono virus più o meno soggetti a mutare, ma le evidenze che emergono dai primi mesi della pandemia confermano il Sars-Cov-2 come un virus abbastanza stabile”. Tuttavia, se la maggior parte delle mutazioni “non ha un impatto significativo sulla diffusione del virus”,alcune mutazioni o combinazioni di mutazioni possono fornire al virus “variato” un “vantaggio evolutivo”, come “una maggiore trasmissibilità o la capacità di eludere la risposta immunitaria dell’ospite”.
Non più letali ma più trasmissibili. Dalle analisi sin qui condotte emerge che
“queste nuove versioni del virus sono probabilmente più trasmissibili ma non maggiormente letali.
Tuttavia, il fatto che le varianti siano più trasmissibili ma non più letali, non deve essere motivo di grande consolazione”, precisano gli esperti perché a parità di letalità, una trasmissibilità maggiore soltanto del 20% (Rt 1,2) farebbe schizzare verso l’alto il numero degli infetti e di conseguenza dei decessi.Di qui la necessità di mantenere con ancora maggiore attenzione le misure di sicurezza: mascherine, distanziamento, igiene delle mani, “in attesa di colpire il virus con la nostra prossima mossa, il vaccino”.
Incentivare il sequenziamento del Sars-Cov-2. Alla luce delle varianti inglese, brasiliana e sudafricana, si legge ancora nell’articolo, “dobbiamo ragionevolmente attenderci un aumento della frequenza di varianti con queste caratteristiche. Tutti i virus, in maggiore o minore misura, hanno la capacità, detta viral escape, di mutare, eludendo in questo modo il sistema immunitario umano, continuando a riprodursi all’interno delle cellule e rendendo assai più complicato lo sviluppo di farmaci antivirali e di vaccini”. In questo scenario, per cercare di capire quali siano le traiettorie evolutive del virus “è necessario effettuare
il maggior numero possibile di sequenziamenti del genoma degli isolati virali.
Proprio questa attività ha consentito, all’inizio dell’epidemia, di identificare e “caratterizzare” rapidamente il virus, sviluppare e validare test diagnostici e avviare la ricerca sui vaccini”. Ma oggi, avvertono gli esperti, “questa attività è ancora più importante”, tant’è vero che l’Oms ha pubblicato una guida sul sequenziamento come “strumento di salute pubblica”. Un suo incremento è infatti “l’unico sistema che permette di monitorare la diffusione di varianti virali” e “cercare di comprendere l’evoluzione del virus”. Non a caso l’allarme sulla nuova variante è giunto dalla Gran Bretagna, che da marzo 2020 ha investito in maniera massiccia sul sequenziamento del virus.
Efficacia dei vaccini. Terza questione cruciale: la risposta immunitaria del vaccino, “tarata” sulla proteina spike del Sars-Cov-2 isolato in tutto il mondo (Italia compresa) nel gennaio 2020, sarà efficace anche contro la proteina spike “mutata” contenuta nelle più recenti varianti? “La risposta onesta” dei ricercatori dello Spallanzani è “non lo sappiamo ancora”, tuttavia “i primi riscontri sembrano positivi: in uno studio, per il momento pubblicato solo in preprint, Pfizer e Biontech hanno creato due pseudo-virus, uno con le caratteristiche del ceppo di Wuhan e l’altro con le mutazioni della variante inglese, e hanno riscontrato che
gli anticorpi prodotti dal vaccino Pfizer hanno lo stesso effetto neutralizzante
su entrambi”. Altra buona notizia è che i vaccini contro il coronavirus, specialmente quelli realizzati con tecnologie di ingegneria genetica, sono “facilmente adattabili ai nuovi ceppi virali”. Una ragione in più per “potenziare la sorveglianza genomica della pandemia e incrementare il numero dei sequenziamenti, con l’obiettivo di inserire nei futuri vaccini le sequenze ‘aggiornate’ dei geni presenti nei ceppi virali dominanti. Qualcosa di simile a quanto avviene ogni anno con il vaccino anti-influenzale”.
Evoluzione della pandemia. Anche su questo è difficile fare previsioni, ma se le misure di contenimento e mitigazione non riusciranno a realizzare la completa eradicazione di questo virus, “uno degli scenari possibili è che esso diventi endemico”, affermano gli autori dell’articolo, spiegando che oltre al Sars-Cov-2 esistono altri sei coronavirus in grado di trasmettersi da uomo a uomo. Due “sono stati contenuti”; gli altri quattro “hanno invece una circolazione endemica” ma causano solo semplici raffreddori o manifestazioni para-influenzali. Di fronte al Sars-Cov-2 “il nostro arsenale immunologico è sguarnito”, ma “con il tempo e col progredire della vaccinazione”, secondo gli esperti “si potrebbe costituire un substrato di immunizzazione” in grado di attenuare i sintomi.Non “una immunità di gregge”, bensì una “convivenza” con un virus le cui manifestazioni cliniche verrebbero a quel punto derubricate alla voce “malanno di stagione”.