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Aumenta il malessere tra i giovani

Giovanna Pasqualin Traversa

“Il mio primo pensiero va ai genitori della piccola Antonella, che hanno tutta la mia solidarietà e vicinanza”, esordisce Stefano Vicari, responsabile di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza all’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, al quale abbiamo chiesto una riflessione sulla complessità di questo momento così difficile anche per i più giovani.
“In un orizzonte più generale – prosegue – , occorre avere un altissimo livello di attenzione verso il fenomeno TikTok e l’utilizzo dei social nei giovanissimi, aumentato anche con la chiusura legata al Covid che ha visto un incremento del tempo trascorso da bambini e ragazzi su queste piattaforme”. Secondo l’esperto, un uso non regolato dei social può portare ad una sorta di vera e propria dipendenza: “attivando i centri cerebrali del piacere, la gratificazione che bambini e adolescenti ricevono dal dispositivo elettronico può indurre ad una continua ricerca della stessa gratificazione”. Perdendo anche preziose ore di sonno: secondo l’esperto molti ragazzi trascorrono diverse ore della notte a chattare, e “una delle ipotesi formulate per spiegare l’aumento dei disturbi psichiatrici in infanzia e adolescenza è anche legata a questa deprivazione di sonno”.

Il papà della bimba ha affermato che quel social era diventato il suo mondo:

“I bambini sotto i 13 anni fanno molta fatica a distinguere tra realtà e fantasia, e rischiano di essere fagocitati dal social che stanno frequentando e dai messaggi che ne ricevono.

Per questo un accesso libero – ossia senza un controllo filtrato da parte dei genitori – alla rete prima dei 12 anni espone i minori ad un pericolo molto grave”. Ragazzini che oltretutto “non sanno valutare le conseguenze delle proprie azioni e ai quali sfuggono i concetti di irreversibilità e di morte”.

Quanto può influire sugli adolescenti la chiusura delle scuole e dei centri sportivi? “La chiusura della scuola comporta una riduzione di relazioni positive. Gli adolescenti, più dei bambini, hanno bisogno di confrontarsi in prossimità, vivono del contatto con i coetanei. Non parlano con i genitori ma con il compagno di banco o con gli amici. E’ fisiologico che si allontanino progressivamente dalla sicurezza di casa per scoprire chi sono, e scoprano la propria identità nella relazione con i pari”. “Un altro dato al quale stiamo assistendo – prosegue l’esperto – è l’aumento dell’aggressività, certamente legato anche alla marcata riduzione dell’attività fisica che costituisce una valvola di sfogo delle energie e riduce fortemente l’irritabilità”. Vicari riferisce di un netto aumento di tentativi di suicidio e di autolesionismo nei ragazzi: “In ospedale sono cresciuti gli accessi al pronto soccorso per disturbi psichiatrici e dallo scorso ottobre abbiamo tutti gli otto posti letto del nostro reparto costantemente occupati. Non era mai accaduto in precedenza.

E la diagnosi più frequente è tentativo di suicidio o atti autolesionistici”.

Per quanto riguarda le risse, “i ragazzi hanno una tale necessità di toccarsi e frequentarsi in presenza che se non lo possono fare a scuola – luogo controllato perché mediato da adulti – cercano spazi affollandosi davanti ai bar chiusi o addirittura ritrovandosi in piazza per picchiarsi”. Pur precisando che non è possibile inquadrare la complessità e la diversità dei protagonisti di questi gesti in un’unica matrice, l’esperto ribadisce:“Le restrizioni legate al Covid-19 stanno aumentando l’irritabilità, l’aggressività e l’intolleranza dei più giovani rendendoli meno sensibili al rispetto delle regole e più portati a trasgredirle”.C’è un rapporto causa-effetto? “La coincidenza porta a ipotizzare che il venir meno di importanti contenitori emotivi e ammortizzatori di tensioni come scuola, relazione tra pari e sport ne sia una concausa”.

Strategico il ruolo dei genitori. “Con gli adolescenti in casa bisogna esserci, condividere tempo e spazi con loro, cercare di tenere aperto il dialogo”, prosegue il neuropsichiatra. Il momento della cena o altri brevi attimi non bastano e soprattutto non devono servire per sottoporre i figli al terzo grado: “Dove sei stato? Chi hai visto? Cosa hai fatto?”. “Meglio tentare di incrociarli, fare merenda insieme, o commentare un film o un evento sportivo”. E poi tentare di organizzare al meglio il (poco) tempo libero dal lavoro, durante la settimana o nel weekend. “E’ difficile, ma se rimettiamo al centro l’attenzione per i nostri figli il tempo probabilmente lo troviamo.

E non per essere guardiani, ma per divertirsi insieme”.

Importante tenere gli occhi aperti sui cambiamenti d’umore e di comportamento: “un ragazzino sereno e allegro che diventa cupo per molto tempo ci deve mettere in guardia”. Infine vigilare sull’uso degli smartphone:“Un genitore lascerebbe un bambino di 10 anni attraversare la strada da solo? Per lo stesso motivo è meglio non dare uno smartphone prima dei 12 anni.Se bisogna regalare un telefonino diamoglielo senza Internet spiegandone il motivo. Oppure diciamo ai ragazzi che non avranno accesso incondizionato alla rete e che ci riserviamo di controllare l’uso che ne faranno”. Non c’è il rischio che venga considerata un’ingerenza? “Certo non è semplice, ma se si è costruito negli anni un profondo rapporto di fiducia, questo discorso passerà più facilmente non come intrusione ma come una modalità di vigilanza”. Una presenza che “inquieta un po’ i ragazzi, ma al tempo stesso li rassicura”.

“In adolescenza – conclude – raccogliamo quanto abbiamo seminato fin dalla prima infanzia. L’educazione di un figlio alla responsabilità e all’autonomia – pilastri sui quali si fonda il benessere psicologico dei ragazzi – inizia gradualmente già dai due-tre anni di età. E non educhiamo con le parole ma attraverso il nostro comportamento, anche all’uso dello smartphone e alla relazione con le persone”.

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