Due i punti su cui occorre intervenire con urgenza: la formazione, e quindi il seminario, e la considerazione della sessualità. Su quest’ultimo aspetto Iavazzo afferma che “la disciplina del celibato risulta diffusamente inosservata e con modalità molto imbarazzanti”, e che molti sacerdoti “hanno costruito una doppia morale”, abbinando “un comportamento disinvolto e trasgressivo alla paradossale dichiarata difesa del loro celibato, proclamandone la bontà e necessità e la disponibilità a sceglierlo di nuovo, se fosse il caso”; altri “hanno posizioni personalmente ipocrite sull’omosessualità”. Per Iavazzo, “tanti rimangono prigionieri della loro turpe maschera e procedono con crescente, patologica disinvoltura, fino alla perdita totale di ogni consapevolezza, in una difesa disfunzionale che consente loro di vivere con apparente adattamento a una vita normale”. “Bisogna avere pena per tutti questi, pena per la loro perdita di speranza e per l’inferno di sentirsi lontani dallo sguardo, dalla misericordia e dal respiro del Padre”, l’esortazione dello psichiatra che ravvisa un tratto unificante nella solitudine, come ha messo in luce una recente ricerca dei vescovi francesi.
“Tocca a tutti noi – osserva – cercare e trovare rimedio per tanta sofferenza e per i molti che vi sono coinvolti. Sorprende che in tanti anni di evidente difficoltà non ci sia stato nessun significativo tentativo di affrontare il problema in modo pubblico, né a livello istituzionale, né a livello comunitario”. Di qui la necessità di “un ripensamento corale” perché c’è sempre più necessità “di nuovi pastori, che siano espressione di una nuova comunità e della sua fede e siano ricchi di una buona capacità apostolica”. “Una solida preparazione culturale, insieme a una buona relazione con la comunità di appartenenza” sono un buon punto di partenza.