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Il Papa: chi non segue il Concilio non sta con la Chiesa

VATICAN NEWS – Adriana Masotti –

Occasione dell’udienza di Papa Francesco a quanti sostengono l’Ufficio catechistico della Conferenza episcopale italiana (Cei), ricevuti nella Sala Clementina, è il 60.mo anniversario dell’inizio dell’attività dell’organismo volta ad assistere la Chiesa italiana nell’ambito, appunto, della catechesi dopo il Concilio Vaticano II. Un anniversario non serve solo a ricordare, ma è anche un’opportunità per “rinnovare lo spirito dell’annuncio”, afferma nel suo discorso il Papa e per questo dice di voler “condividere tre punti che spero possano aiutarvi nel lavoro dei prossimi anni”.

Il primo punto è: catechesi e kerygma. “La catechesi è l’eco della Parola di Dio”, afferma il Papa, e attraverso la Sacra Scrittura annunciata, ciascuno entra a far parte “della medesima storia di salvezza” e con la propria unicità “trova un ritmo proprio”. Francesco sottolinea che cuore del mistero della salvezza è il kerygma, e che il kerygma è una persona: Gesù Cristo. La catechesi, dunque, deve “favorire l’incontro personale con Lui” e perciò non può esser fatta se non di relazioni personali.

Non c’è vera catechesi senza la testimonianza di uomini e donne in carne e ossa. Chi di noi non ricorda almeno uno dei suoi catechisti? Io lo ricordo. Ricordo la suora che mi ha preparato alla prima comunione e mi ha fatto tanto beneI primi protagonisti della catechesi sono loro, messaggeri del Vangelo, spesso laici, che si mettono in gioco con generosità per condividere la bellezza di aver incontrato Gesù. “Chi è il catechista? È colui che custodisce e alimenta la memoria di Dio; la custodisce in sé stesso – è un memorioso della storia della salvezza  e questa memoria la sa risvegliare negli altri. È un cristiano che mette questa memoria al servizio dell’annuncio; non per farsi vedere, non per parlare di sé, ma per parlare di Dio, del suo amore, della sua fedeltà”.

Il Papa indica poi alcune caratteristiche che deve possedere oggi l’annuncio e cioè che sappia rivelare l’amore di Dio, prima di ogni obbligo morale e religioso; che non si imponga ma tenga conto della libertà; che testimoni gioia e vitalità. Per fare questo chi evangelizza deve esprimere “vicinanza, apertura al dialogo, pazienza, accoglienza cordiale che non condanna”. E parlando del catechista Francesco aggiunge a braccio che “la fede va trasmessa in dialetto”, spiegando che si riferisce al “dialetto della vicinanza”, al dialetto che si fa comprendere alle persone a cui si rivolge:

A me tocca tanto quel passo dei Maccabei, dei Sette Fratelli. Per due o tre volte si diceva che la mamma li sosteneva parlando loro in dialetto. E’ importante: la vera fede va trasmessa in dialetto. I catechisti devono imparare a trasmetterla in dialetto, cioè quella lingua che viene dal cuore, che è nata, che è proprio la più familiare, la più vicina a tutti. Se non c’è il dialetto, la fede non è tramessa totalmente e bene.

Il secondo punto indicato da Papa Francesco è: catechesi e futuro. Ricordando il 50° anniversario del documento “Il rinnovamento della catechesi”, con cui la Cei recepiva le indicazioni del Concilio, celebrato lo scorso anno, Francesco cita alcune parole di Papa Paolo VI in cui invitava la Chiesa italiana a guardare con riconoscenza al Concilio che diceva “sarà il grande catechismo dei tempi nuovi” e osservava come compito costante della catechesi sia “l’intendere questi problemi che salgono dal cuore dell’uomo, per ricondurli alla loro sorgente nascosta: il dono dell’amore che crea e che salva”. Francesco, dunque, ribadisce che la catechesi ispirata dal Concilio è “sempre con l’orecchio teso, sempre attenta a rinnovarsi”. E a proposito del Concilio aggiunge un’ampia riflessione:

Il Concilio è magistero della Chiesa. O tu stai con la Chiesa e pertanto segui il Concilio, e se tu non segui il Concilio o tu l’interpreti al tuo modo, alla tua voglia, tu non stai con la Chiesa. Dobbiamo in questo punto essere esigenti, severi. Il Concilio non va negoziato, per avere più di questi … No, il Concilio è così. E questo problema che noi stiamo vivendo, della selettività del Concilio, si è ripetuto lungo la storia con altri Concili. A me fa pensare tanto un gruppo di vescovi che dopo il Vaticano I sono andati via, un gruppo di laici, gruppi lì, per continuare la “vera dottrina” che non era quella del Vaticano I. “Noi siamo i cattolici veri” … Oggi ordinano donne. L’atteggiamento più severo per custodire la fede senza il magistero della Chiesa, ti porta alla rovina. Per favore, nessuna concessione a coloro che cercano di presentare una catechesi che non sia concorde al magistero della Chiesa.

La catechesi, afferma il Papa, riprendendo la lettura del discorso, deve rinnovarsi per incidere su tutti gli ambiti della pastorale. E raccomanda:

Non dobbiamo aver paura di parlare il linguaggio delle donne e degli uomini di oggi. Sì, di parlare il linguaggio fuori della Chiesa: di questo, dobbiamo avere paura. Non dobbiamo avere paura di parlare il linguaggio della gente. Non dobbiamo aver paura di ascoltarne le domande, qualsiasi siano, le questioni irrisolte, ascoltare le fragilità, e le incertezze: di questo, non abbiamo paura. Non dobbiamo aver paura di elaborare strumenti nuovi.

Catechesi e comunità rappresentano il terzo punto, un nodo di particolare attualità in un tempo che, a causa della pandemia, ha visto crescere l’isolamento e il senso di solitudine. “Il virus – afferma il Papa – ha scavato nel tessuto vivo dei nostri territori, soprattutto esistenziali, alimentando timori, sospetti, sfiducia e incertezza. Ha messo in scacco prassi e abitudini consolidate e così ci provoca a ripensare il nostro essere comunità”. Ci ha fatto capire, anche, che solo insieme possiamo andare avanti, prendendoci cura gli uni degli altri. Va ritrovato, dunque, il senso di comunità.

La catechesi e l’annuncio non possono che porre al centro questa dimensione comunitaria. Non è il momento per strategie elitarie. E la grande comunità: qual è la grande comunità? Il santo popolo fedele di Dio. (…) Questo è il tempo per essere artigiani di comunità aperte che sanno valorizzare i talenti di ciascuno. È il tempo di comunità missionarie, libere e disinteressate, che non cerchino rilevanza e tornaconti, ma percorrano i sentieri della gente del nostro tempo, chinandosi su chi è ai margini. È il tempo di comunità che guardino negli occhi i giovani delusi, che accolgano i forestieri e diano speranza agli sfiduciati. È il tempo di comunità che dialoghino senza paura con chi ha idee diverse. È il tempo di comunità che, come il Buon Samaritano, sappiano farsi prossime a chi è ferito dalla vita, per fasciarne le piaghe con compassione.

Ripetendo quanto detto al Convegno ecclesiale di Firenze, Francesco ribadisce il suo desiderio di una Chiesa “sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti”, una Chiesa gioiosa che “comprende, accompagna, accarezza”. Questo, prosegue, vale anche per la catechesi. Ed esorta alla creatività per un annuncio centrato sul kerygma, “che guardi al futuro delle nostre comunità, perché siano sempre più radicate nel Vangelo, fraterne e inclusive”.

Francesco, infine, a cinque anni da quel Convegno, invita la Chiesa italiana a incominciare un processo sinodale a livello nazionale, “comunità per comunità, diocesi per diocesi: anche questo processo sarà una catechesi. Nel Convegno di Firenze c’è proprio l’intuizione della strada da fare in questo Sinodo. Adesso, riprenderlo: è il momento. E incominciare a camminare”.

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