Arrivano qui nudi, soli, fragili: ti prendono il cuore. Guardandoli penso siano i più poveri di tutti; poi però la vita ritesse i fili. Lui non ce l’ha fatta, ma è stato circondato di un amore così grande e così speciale che ci ha fatto sentire che era il prediletto, l’amato, vicino al cuore di Dio come lo sono i più poveri tra i poveri”. Francesca Di Maolo, presidente dell’ Istituto Serafico di Assisi che accoglie e riabilita ragazzi con gravi patologie e/o disabilità psichiche e sensoriali complesse e ogni giorno tocca con mano le difficoltà causate dal Covid-19, si emoziona nel ricordare uno dei suoi ospiti, di soli 30 anni, morto lo scorso dicembre per gravi complicanze polmonari legate all’infezione. “Abbandonato alla nascita – racconta al Sir – e approdato da noi a quattro anni, era diventato un figlio a tutti gli effetti, come il piccolo di tre anni arrivato in agosto, anch’egli abbandonato alla nascita”.
“Abbiamo bisogno del vaccino – insiste la presidente del Serafico – per mettere in sicurezza le vite fragili dei nostri ragazzi”. Ma l’appello è stato fatto anche pensando ai tanti giovani disabili chiusi in casa con i genitori, “che hanno bisogno di tornare alla normalità e sono i più esposti al rischio”. Di Maolo spiega che soprattutto nell’ambito dell’autismo e della disabilità psichiatrica, la riduzione degli incontri dei suoi ospiti con i familiari e la limitazione del contatto fisico ha provocato un aumento di comportamenti disadattivi. “Non posso utilizzare i teli di plastica trasparenti che si usano nelle Rsa: i miei ragazzi non lo capirebbero, hanno bisogno che la mamma li abbracci e li stringa a sé. Per questo abbiamo deciso di consentire gli incontri previo tampone molecolare dei familiari”.
Ma questa “dimenticanza” esprime anche l’incapacità da parte delle istituzioni di leggere il tessuto sociale e le urgenze reali. In Italia nessuno si è chiesto quale sia stata l’incidenza e la mortalità del Covid sulla disabilità: abbiamo cercato dati in tal senso senza trovarli. Non cercare dati significa non porsi il problema”.
E se la pandemia “sta provocando uno tsunami sul nostro sistema sociale” la politica dovrebbe avere “una visione in grado di tenere insieme tutte queste dimensioni”. Anche quella economica, nella consapevolezza che“se non ci prendiamo cura dell’uomo nella sua integralità, e in particolare dei membri più fragili della società, non ci potrà essere né sviluppo né progresso. Il sistema economico che ha mostrato tutti i suoi limiti dovrà essere inclusivo, in grado di non lasciare indietro nessuno”.Il card. Bassetti auspica “un vaccino per la salute della mente” richiamando anche il vaccino del cuore evocato da Papa Francesco. Di Maolo non ha dubbi: “Abbiamo bisogno di un impulso che parta dal cuore e ci porti a riconoscere l’altro nei suoi bisogni e nelle sue necessità. Nell’apertura della Fratelli tutti il Papa evoca l’immagine del buon samaritano che agisce perché ha provato compassione. Il suo gesto è scattato dal cuore perché tutto parte da lì:
il linguaggio della fraternità e della cura ha bisogno della logica del cuore.
Occorre lasciarsi ferire”. Così, dopo la rivoluzione industriale, postindustriale, 2.0, 4.0, per Di Maolo “è arrivato il tempo della rivoluzione della cura: dal to cure al to care. Un prendersi cura che abbiamo toccato con mano più volte in questi tempi di coronavirus. Ho nella mente gli occhi dei medici che ho visto uscire dalla rianimazione, spesso segnati dalle lacrime; oppure quelle carezze ai malati che dimostrano come la relazione di cura si esprima non solo nella professionalità degli operatori, ma anche nella loro capacità di tenerezza e di relazione.E se in questi piccoli gesti quotidiani possiamo spezzare la logica dell’egoismo, occorre impregnare tutta la società con la cultura della cura. Nel riportare il più fragile al centro si giocano i nostri valori di uguaglianza, democrazia e giustizia”.