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Marta, Maria e Lazzaro: una festa per i suoi amici

Alessandro Di Medio

Il Papa ha molto a cuore gli amici di Gesù, è evidente. D’altronde lui stesso fa parte di un ordine che non è mai stato chiamato dal suo fondatore “Gesuiti” – questa è una dizione di origine calvinista, e dunque dispregiativa. No, per Ignazio lui e i suoi erano “compagni” o “amici nel Signore”. E dunque, uno degli amici NEL Signore mette definitivamente sul calendario liturgico gli amici DEL Signore: Marta, Maria, e l’alquanto fortunato Lazzaro.

Di questi tre fratelli al contempo notissimi eppure misteriosi (chi sarà davvero Maria? E Lazzaro, che fine ha fatto?) il Papa ha parlato più volte in vari suoi interventi, sin dal 21 luglio 2013, primo anno del suo pontificato, quando commentò l’episodio di Marta e Maria riportato dall’evangelista Luca, indicando l’importanza di integrare la dimensione contemplativa nella prassi ecclesiale.

Al di là dei fatti pubblici, possiamo ben immaginare che il Papa, seguendo il metodo codificato dal suo maestro Ignazio per la meditazione delle Scritture, si sia più volte soffermato ad “applicare i sensi”, cioè ad assaporare l’atmosfera della casa degli amici di Gesù: gli aromi della cucina di Marta, il profumo del nardo prezioso sparso da Maria su Gesù per ringraziarlo del fratello riavuto, il silenzio eloquente di Lazzaro, tornato tra i vivi come presagio di quanto sarebbe avvenuto al suo amato amico Gesù.
Mi piace pensare che proprio in queste frequentazioni abituali della loro casa nella preghiera, il Papa abbia maturato l’idea di festeggiarli tutti insieme, i tre fratelli; magari gli ha anche chiesto che ne pensassero – e la risposta, suggerita al suo cuore dallo Spirito, oggi ci è chiara.

Questa festa non è importante solo per l’aspetto concettuale dell’unione di prassi e contemplazione, ma perché celebra, canonizza, l’amicizia. In fondo, Marta, Maria e Lazzaro sono Santi perché sono stati, e sono tutt’ora più che mai, gli amici di Gesù, forse i migliori amici (“Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro” Gv 11, 5).

È nell’amicizia affettuosa, nell’amore senza riserve, nella capacità di esprimere con gesti anche compromettenti quanto si prova (a Gesù la resurrezione di Lazzaro costerà la condanna a morte) che prassi e contemplazione trovano il loro punto di unione. Il cuore che custodisce diventa la mano che fa, perché c’è l’amore che muove entrambi. Senza l’amore, la vita contemplativa diventa fuga dal mondo, e la vita attiva si riduce a prassi sociologica e (ancora peggio) filantropica; Lazzaro, così amato da Gesù da essere definito esattamente da ciò (“colui che tu ami”, Gv 11, 3), così amato da Gesù da muoverlo al pianto per la sua sorte, sebbene ne stesse per essere salvato (“Guarda come lo amava!”, Gv 11, 37), è il trait d’union tra Maria e Marta, perché rappresenta l’amore che unisce contemplazione e prassi.

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