SAN BENEDETTO DEL TRONTO – È in corso in questi giorni una revisione di tutti gli account italiani di Tik Tok, una app molto popolare tra i ragazzi. Il 22 Gennaio scorso, infatti, il Garante per la protezione dei dati personali ha disposto il blocco dell’uso dei dati degli utenti per i quali non sia stata accertata l’età anagrafica all’interno del social network cinese. Ma attenzione! La chiusura è solo temporanea. Dal 9 Febbraio prossimo verrà chiesto agli utenti di indicare nuovamente la data di nascita per poter continuare a seguire l’app. Se l’utente dichiarerà un’età inferiore ai 13 anni, il suo account verrà rimosso; se, al contrario, l’età dichiarata sarà superiore ai 13 anni, l’account tornerà operativo. Il provvedimento è stato preso a seguito della morte della piccola Antonella Sicomoro, palermitana di 10 anni, suicida per una presunta challenge sulla piattaforma che prevedeva il tentativo di strozzamento dell’utente tramite una cintura intorno al collo. È chiaro che la disposizione in corso non sia assolutamente risolutiva, in quanto non tutela completamente i ragazzi i quali potrebbero facilmente eludere il problema mentendo sulla loro reale età. Dunque cosa possiamo fare noi genitori per proteggere i nostri figli dalle insidie del web? Lo abbiamo chiesto alla Dott.ssa Maria Chiara Verdecchia, pedagogista e fondatrice del centro Pharus a Grottammare.
Cos’è l’app Tik Tok e cosa possiamo fare noi adulti?
“Noi tutti viviamo immersi in un ambiente digitale saturo di messaggi di ogni tipo, sui quali è difficile poter esercitare un controllo. La velocità con cui si determinano decodifiche fuorvianti e rischiose nelle menti di bambini e ragazzi, prive di spiegazione da parte di adulti, è il maggior pericolo cui dobbiamo prestare attenzione. Il problema, quindi, non è la singola app, bensì il fatto che il mondo virtuale stia sostituendo la funzione educativa che invece appartiene agli adulti. Dunque la prima cosa che i genitori sono chiamati a fare è proprio quella di acquisire maggiore consapevolezza su questo aspetto. Non bastano filtri e “parental control” per conseguire una subdola sicurezza, anzi è ciò che non consiglio mai di fare. Serve, invece, una presenza più solida e matura, che restituisca, a seconda dell’età dei propri figli, il senso del limite e dell’inganno, laddove tutto appare senza confini e remore. Occorre accompagnare il processo di crescita dei propri figli e comprenderne, talvolta, la solitudine sottostante, che spesso li porta a ricercare una zona di confort, protetta, in attesa di qualche like che affievolisca il loro malessere. Quel senso di solitudine che ha giocato un ruolo chiave nella vicenda della ragazzina di Palermo, che ha perso la vita, probabilmente, per una sfida su un famoso social. Forse, sarebbe bastato avere un’amica accanto, che la mettesse in guardia, che la liberasse in tempo. D’altro canto, quando si è soli, immersi tra le mura della propria casa, anche il tempo perde il suo significato e l’attesa che arrivi quanto prima un like anche da sconosciuti, da farti sentire unico e speciale, trasforma la gratificazione in un coraggio esasperato fino a perdere la percezione del pericolo.”
In base alla sua esperienza, cosa dicono i ragazzi?
“Ho molti ragazzi in consulenza che mi riferiscono di sentirsi frustrati per aver deluso le aspettative dei genitori, di essere annoiati, di non sentirsi appassionati e motivati a compiere qualcosa di importante, di percepire il peso di una scuola sempre più calcolatrice e poco accorta, insomma ragazzi cui non resta altro che perdersi nell’universo della rete dove, attraverso un semplice contatto virtuale, si ha la possibilità di conoscere centinaia e migliaia di follower, di condividere pensieri, comportamenti, stravaganze, senza che nessuno giudichi o valuti secondo numeri.
Dunque cosa può suggerire a noi genitori e, più in generale, agli educatori?
“Potremmo trovarci tutti nei panni di quei genitori che oggi sono dilaniati dal dolore ed essere arrabbiati perché accusati, spesso, di non essere capaci a prevenire i comportamenti a rischio dei minori nell’online con la giusta educazione digitale. Ma il tema, a mio avviso, è molto più complesso. Se da un lato, il richiamo pedagogico converge sul riconoscimento precoce di regole, sulla condivisione di uno spazio che non sia solo fisico, ma di dialogo, scambio e condivisione, dall’altro reclama una maggiore consapevolezza da parte non solo della famiglia, ma di tutte quelle realtà che si occupano di educazione e istruzione, affinché si crei una sinergia e un sistema tale da saper fronteggiare le innumerevoli peripezie che il web propone. Non si tratta di demolire, ma serve aiutare i nostri ragazzi a saper discernere, ad acquisire uno spirito critico per cogliere significati e valori più profondi, a saper apprezzare il giusto divertimento. Per fare ciò, occorre che tutti noi adulti, educatori, impariamo ad invertire la rotta, a rallentare, a disconnettere per riconnettere in forma più incisiva, a saper attendere senza pretendere, a riconoscere e valorizzare ciascuna diversità, ad integrare saperi e competenze, promuovendo l’auto/mutuo aiuto attraverso l’empatia, il problem solving, il consenso e il concetto di universalità. Occorre riconoscere le potenzialità e le flessibilità dello spazio virtuale, ma bisogna anche essere consapevoli che l’interscambio virtuale non potrà mai essere equiparabile a un’interazione face to face, in quanto non presenta tutti quegli aspetti che solitamente la comunicazione verbale porta con sé. Infine, se noi adulti saremo capaci di costruire una rete forte e di restituire ai bambini e ai ragazzi la passione per ciò che studiano, la speranza per un futuro migliore, la gioia per non sentirsi mai soli e l’entusiasmo nel voler mettersi in gioco, il web non sarà più un pericolo da temere, ma un sistema da includere e sfruttare nei suoi aspetti più positivi.”