COLONNELLA – Quante volte dalla mattina alla sera ci lamentiamo per le nostre piccole incombenze, frustrazioni o disagi quotidiani?! Un figlio in dad che ha problemi di connessione, un altro figlio che inizia scuola alle 9:00 per permettere l’ingresso differenziato, tante le attività sportive e ricreative sospese, niente catechismo, niente colazione al bar, niente cena al ristorante, il fastidio della mascherina da portare al lavoro per molte ore consecutive, il datore di lavoro che non modifica l’orario e vuole che si mantenga lo stesso ritmo di prima, la fila all’aperto (e quindi al freddo) alle poste, in banca, dal dottore o persino dal negoziante per fare spesa … e poi ci sono quelli che girano senza mascherina, quelli che la indossano sempre tranne quando parlano e quelli che, al contrario, ne indossano due oltre ai guanti! Quanti motivi per essere nervosi ed irritarsi! Tutte ottime ragioni per perdere la pazienza e lamentarsi in famiglia.
Eppure le famiglie non sono tutte uguali. Ce ne sono alcune in cui non ci si lamenta mai. Alcune che hanno qualcosa di speciale. Una luce che illumina e scalda i cuori … sia di chi ne fa parte sia di chi sta intorno. È questo il caso della famiglia formata da Luigi Moretti e Federica Florio in cui la grande luce è il piccolo Samuele, il loro bambino di 8 anni. Samuele è affetto da fibrosi cistica, una malattia genetica ereditaria per la quale non esiste alcuna cura definitiva, ma solo diversi metodi di trattamento.
Quando e come avete scoperto la malattia di vostro figlio?
Federica: “La nostra ginecologa, molto arguta, all’ottavo mese di gravidanza notò qualcosa di strano in una delle ecografie di controllo e ci chiese se ci fossero casi di fibrosi cistica in famiglia. Noi non sapevamo neanche cosa fosse quella patologia e non eravamo a conoscenza di parenti affetti da questa malattia. La dottoressa ci disse quindi di non preoccuparci: io e mio marito avevamo molta fiducia in lei e rimanemmo davvero tranquilli come ci aveva suggerito lei, anche perchè, facendo qualche domanda ai nostri genitori, non uscirono fuori casi analoghi nelle nostre famiglie d’origine. Purtroppo, però, le cose non andarono come avevamo immaginato: mi fecero fare un parto cesareo d’urgenza e sulla cartella di nostro figlio i medici appuntarono di fare un doppio screening neonatale per le malattie rare. In ospedale ci avevano detto queste testuali parole: State sereni. Se da Ancona non vi fanno sapere nulla in merito allo screeening effettuato, vuol dire che va tutto bene e non dovete temere. Se, al contrario, dovesse arrivare qualche comunicazione, vuol dire che qualcosa non va. A noi non era arrivato nulla, ma non eravamo affatto tranquilli. Notavamo in nostro figlio dei comportamenti che non sapevamo spiegarci: io, ad esempio, allattavo, il bambino beveva, ma il suo peso non aumentava; inoltre Samuele mostrava anche una certa difficoltà nel respirare mentre piangeva. Fortunatamente siamo stati seguiti e supportati molto bene da tutto il personale del reparto di Ostetricia dell’Ospedale Madonna del Soccorso di San Benedetto del Tronto che ci ha aiutato nell’allattamento e nell’attesa estenuante dell’esito dello screening. Alla fine quella comunicazione da Ancona purtropppo è arrivata! Subito abbiamo eseguito ulteriori esami presso il Centro Regionale di Fibrosi Cistica all’interno dell’ospedale San Liberatore di Atri e, ad appena due mesi compiuti, abbiamo avuto la diagnosi. Ricordo ancora il giorno in cui ce lo hanno comunicato. Dopo aver eseguito i test, il Dott. Moretti, all’epoca responsabile del centro, professionista instancabile e di grande spessore umano, ci ha fatto accomodare in una stanza ed ha iniziato a farci un mucchio di domande. Io gli ho detto che, prima di rispondere, volevamo sapere se nostro figlio stesse male, perchè l’ansia che avevamo era grande e non potevamo più attendere. Lui ha lasciato cadere sulla scrivania la penna che aveva in mano e ci ha guardato. Mio marito, che aveva già capito, mi ha preso la mano.”
Quale è stata la vostra prima reazione?
Federica: “Appena il medico ci ha detto di che patologia si trattasse, noi, entrambi, siamo scoppiati in lacrime. Sentivamo nel cuore un misto di rabbia e paura: avevamo impiegato 5 anni per avere un bambino, era il primo figlio, ci aspettavamo altro dalla vita; inoltre non sapevamo nulla di quella malattia, ma ci hanno spiegato da subito che non esiste una cura definitiva, bensì solo cure mantenitive. Mentre il dottore parlava, è stato come ascoltare una sentenza sulla vita di nostro figlio e anche sulle nostre vite. L’aspettativa di vita nel passato era di 20 anni, ora siamo riusciti ad arrivare a 40 anni. E, per arrivarci, c’è una lunga salita da percorrere. Questa patologia, infatti, colpisce in primis i polmoni ed il pancreas. I bambini affetti da questa malattia hanno un muco molto denso che non riescono ad espellere facilmente; il muco, depositandosi sui bronchi, crea difficoltà respiratorie, che dapprima sono leggere ma, con il tempo, possono determinare anche la necessità di un trapianto polmonare. Inoltre nei malati di fibrosi cistica la proteina CFTR o non viene prodotta o è malfunzionante, quindi in loro il processo di assimilazione e lavorazione del cibo non funziona bene: per questo motivo devono assumere quotidianamente degli enzimi pancreatici per assimilare il cibo che ingeriscono e poter quindi crescere adeguatamente. Ci sono diverse forme di fibrosi cistica, quindi non tutti i pazienti hanno gli stessi problemi: ce ne sono alcuni, come mio figlio, che manifestano tutti i sintomi, altri che, invece, ne presentano solo una parte. Samuele, nei primi sei anni di vita, ha subìto cinque interventi chirurgici.”
Luigi: Quando siamo venuti a conoscenza della malattia di nostro figlio, ci siamo sentiti come investiti da uno tsumani e il sentimento comune, mio e di mia moglie, era la paura di affogare, di restare immersi nel dolore, di non riuscire a venirne a galla. Non eravamo preparati: del resto non si è mai preparati alla malattia e alla sofferenza. Poi, però, un po’ alla volta, siamo riusciti a riemergere dal fondo buio ed abbiamo scoperto insieme che non solo siamo in grado di nuotare, ma a volte anche di surfare! Esco dalla metafora e faccio un esempio. Io e mia moglie avevamo tanta paura che a scuola Samuele potesse essere deriso; invece, ci siamo dovuti ricredere totalmente. C’è un ambiente molto sano nella scuola di Colonnella: prima di tutto le maestre ci hanno accolto con disponibilità e cortesia, si sono mostrate molto flessibili e si sono adattate fin da subito alle esigenze di nostro figlio; i compagni di classe lo adorano, lo chiamano per fare dei lavori insieme o anche semplicemente per sapere come sta, lo coinvolgono in ogni attività o iniziativa e ci sembra che gli vogliano proprio bene; ci sono poi bambini, anche di altre classi, più grandi di nostro figlio, che lo vanno a cercare e salutare; chi gli sta intorno, docenti, collaboratori scolastici, amici, tutti sono sempre molto accoglienti e solidali nei confronti di Samuele. Ecco perchè dico che spesso la paura ci frena e ci frega, ci fa preoccupare anche inutilmente, non ci fa vivere o comunque ci fa vivere col timore che tutto andrà male. Invece, a volte, il futuro riserva delle sorprese anche piacevoli. Ecco perchè si dice “Abbi fede!”, perchè la fede ci dà la forza di affrontare ogni cosa e ci permette di ragionare ed agire con la speranza nel cuore.
Come è una vostra giornata tipo?
Luigi: “I ritmi della giornata sono completamente dettati dalle esigenze di nostro figlio. Qualche mese dopo aver saputo della malattia, ci siamo resi conto che non potevamo continuare a fare la vita di prima. Di comune accordo, quindi, io e mia moglie abbiamo deciso che uno dei due avrebbe dovuto lasciare il lavoro e che l’altro si sarebbe organizzato con dei turni. Samuele, infatti, si sveglia alle 6:00 e deve eseguire per circa 40 minuti delle terapie, poi fa colazione, si veste e va a scuola con il pullmino. Nel pomeriggio, dovendo eseguire specifici trattamenti e dovendo effettuare frequenti e continuativi incontri con la terapista, Samuele non ha il tempo materiale per poter seguire uno sport e, se si cimenta in qualche attività, deve fare attenzione a non ammalarsi. Quando ci chiedono se la sua sia una vita normale, noi rispondiamo di si: può fare tutto, ma deve stare attento a non creare condizioni sfavorevoli al suo corpo. Ad esempio, deve evitare di raffreddarsi, di frequentare altri bambini affetti dalla stessa patologia e soprattutto deve fare tutti i giorni delle terapie che lo aiutano a proteggersi. Per tutti questi motivi anche le nostre uscite familiari sono notevolmente diminuite. I nostri amici vengono a casa a trovarci e rispettano le nostre esigenze.”
Federica: “Ormai io e mio marito abbiamo capito come dobbiamo cooperare: a volte lavoriamo in sincronia, altre volte a staffetta! Quando uno dei due avverte un po’ di stanchezza, interviene l’altro. Cerchiamo di far fare a Samuele una vita il più possibile normale. È ovvio, però, che ci siano dei limiti. Se andiamo ad un compleanno, ad esempio, io non posso fare come gli altri genitori che lasciano i figli a giocare e poi tornano a prenderli in seguito; io devo rimanere per somministrargli i farmaci, una terapia che non posso delegare ad altri. Samuele ha, inoltre, una piccola forma di autismo. Ci sono momenti in cui vive in un mondo tutto suo, in cui non si relaziona molto con altri bambini. Per questo motivo tre volte alla settimana deve andare in un centro a Grottammare. Tutto questo richiede, impegno, pazienza e costanza, ogni giorno, ogni ora, ogni minuto della nostra vita. A volte avvertiamo un po’ di stanchezza, quindi preferiamo restare a casa. Io e mio marito non siamo mai stati molto mondani, ma ora, ancor più di prima, ci siamo un po’ chiusi, perchè gli impegni di Samuele sono tanti e ci assorbono molto.”
Come immaginate il vostro futuro?
Federica: “Ci sono nuovi farmaci in sperimentazione a cui Samuele sembra essere compatibile. Questo ci fa ben sperare, ma non significa che vada sempre tutto bene o che il nostro umore sia sempre buono! Al contrario, ogni tanto, purtroppo, veniamo a sapere di persone che abbiamo conosciuto e che non ce l’hanno fatta: in quei momenti ci facciamo il nostro pianto, poi ci consoliamo a vicenda ed infine raccogliamo tutte le nostre energie e prendiamo coraggio per andare avanti. Ovviamente, quando si verificano questi episodi, siamo investiti da un’onda di paura; poi, però, basta che Samuele ci faccia un sorriso o una carezza, che subito riacquistiamo energia e ci diciamo che non possiamo abbatterci o deprimerci: al contrario, dobbiamo lottare con forza per rendere migliore la vita di nostro figlio. Abbiamo scoperto che la paura si supera con la speranza. E la speranza viene dalla fede. Quante volte abbiamo pensato di essere impreparati ed inadeguati! Poi, però, abbiamo superato ogni difficoltà! Quello che posso dire è che tante volte abbiamo pensato di non farcela; poi, però, nel momento necessario, ci è venuta una forza che non sapevamo di avere.”
Luigi: “Quella di Samuele è una malattia degenerativa. Tuttavia le aspettative sono buone perchè stanno sperimentando nuovi farmaci che pare stiano funzionando. Samuele ha delle mutazioni di questa patologia per le quali è prevista la cura con questi farmaci, quindi teoricamente dovremmo stare tranquilli, ma è chiaro che, con una malattia così, tranquilli non ci si sta mai. Se ci guardiamo indietro nel tempo, ci rendiamo conto che abbiamo fatto dei passi da gigante: eravamo completamente disorientati e ci siamo trovati a fare cose che mai avremmo pensato di fare e che ora facciamo con naturalezza e autorevolezza. Prima tante cose ci sembravano montagne insormontabili, mentre ora sono piccoli sassi che riusciamo a scansare e superare. Certamente, il futuro a volte ci sembra buio; ma, se pensiamo al passato e a come ci sentivamo, possiamo dire che anche allora ci sembrava tutto buio, ma poi, man mano che camminavamo, ad ogni passo ci arrivava sempre un po’ di luce in più. È per questo che andiamo a Messa ogni Domenica o, se uno di noi sta male, la seguiamo da casa tramite Facebook, per ringraziare il Signore della forza che quotidianamente ci dà per affrontare la nostra vita. E anche Samuele non si lamenta mai: adora il nostro parroco don Dino ed è quindi sempre molto felice di andare a Messa. Noi, inoltre, siamo molto devoti a San Gabriele. Una volta su YouTube Samuele ha visto un video sulle campane del santuario e si è talmente incuriosito che alla fine abbiamo deciso di portarlo lì di persona. Mentre eravamo in cripta, un passionista ci ha chiesto se potesse prendere Samuele per portarlo davanti alla tomba del santo. Noi abbiamo detto di si e i due sono rimasti lì per molto tempo. Quando ce lo ha riportato, il passionista ci ha detto che nostro figlio aveva detto molte preghiere e aveva parlato con il santo. Siamo rimasti stupiti di questo, visto che lui non parla molto, soprattutto quando conosce poco il suo interlocutore; all’epoca, inoltre, non gli avevamo spiegato ancora nulla di San Gabriele, di chi fosse e della sua vita. Questo rapporto speciale con il santo è sempre rimasto e ora Samuele lo prega molto spesso.”
Che messaggio volete dare alle famiglie di bambini e ragazzi fragili?
Federica: “La cosa più importante è sensibilizzare parenti, amici e conoscenti. Fortunatamente tutte le persone che abbiamo incontrato sulla nostra strada sono state all’altezza della situazione, ma ci sono famiglie che vivono davvero grandi difficoltà. È per questo motivo che facciamo parte della Lega Italiana Fibrosi Cistica Abruzzo che si occupa di raccogliere fondi per le esigenze dei malati e delle loro famiglie. Durante l’arco dell’anno, periodicamente, vendiamo dei prodotti il cui ricavato va totalmente all’associazione: ad esempio, a Natale i torroni, a Pasqua le uova di cioccolato, ad Ottobre i ciclamini, … Con il denaro così ottenuto possiamo acquistare macchinari necessari ai ragazzi per fare le terapie; possiamo pagare figure professionali (come il fisioterapista, il nutrizionista, lo psicologo), quando la Asl non riesce a coprire tutte le spese; possiamo sostenere le famiglie che subiscono un lutto, pagando le spese funerarie; possiamo aiutare economicamente i pazienti che devono viaggiare per affrontare un trapianto. Il mio augurio è che la società si mostri sempre più sensibile, altruista e solidale.
Luigi: “Vorrei dire di non scoraggiarsi e di avere speranza. Io e mia moglie all’inizio siamo rimasti senza parole. Ci siamo trovati davanti ad una situazione nuova, per noi sconvolgente. È come se qualcuno avesse deciso per noi quale vita avremmo dovuto vivere. Dopo il primo momento, siamo tornati a casa e abbiamo iniziato a prendere informazioni sulla malattia. Ci siamo detti: va bene piangere e disperarsi per qualche giorno, ma poi devi raccogliere tutte le tue forze e andare avanti. Così lo abbiamo comunicato ai parenti più stretti e agli amici e pian piano abbiamo iniziato a conviverci. È stato come un ingranaggio che un po’ alla volta ha iniziato a funzionare, all’inizio con fatica, poi sempre con maggiore convinzione, forza e naturalezza. Con il tempo abbiamo capito cosa fare e come farlo, abbiamo imparato a regolarci meglio sulle cose nuove che a volte ci capita di affrontare e siamo riusciti ad organizzarci una vita diversa da come ce l’aspettavamo. Ovviamente ci sono alti e bassi, a volte ci sono anche momenti di sconforto, ma nel complesso cerchiamo di vedere il bicchiere sempre mezzo pieno. Questa consapevolezza viene dalla fede. Noi abbiamo capito e scoperto che, anche se spesso non ce ne rendiamo conto, abbiamo risorse inaspettate ed impensabili. Grazie a Dio, la fede ci ha fatto unire di più anche come coppia, ci ha fatto capire che ogni cosa ha un senso, anche se noi non lo comprendiamo. Ci auguriamo che la nostra piccola testimonianza possa evangelizzare altre famiglie e salvare altre vite.”
Che messaggio volete dare a tutti gli altri nostri lettori?
Luigi: “Siate sensibili e gentili. Le persone che sono in difficoltà hanno bisogno di non essere giudicate, di non essere trattate come vittima, di ridere, scherzare a vivere anche un minimo di leggerezza.”
Federica: “Sorridete sempre e cogliete ogni attimo della vostra vita! Un giorno, mentre ero a Messa a Martinsicuro, è passato qualcuno tra i banchi con un cestino colmo di bigliettini: ognuno di noi doveva sceglierne uno e portarlo a casa. Il mio l’ho conservato e l’ho messo all’ingresso di casa nostra, vicino alla Bibbia. C’era scritto: Sorridi. Dio ti ama!“