DIOCESI – Il rito di imposizione delle ceneri sul capo è antichissimo e di origine orientale, che la Chiesa ha fatto proprio con un cerimoniale che risale, nella forma e nel significato, al sec. X. Risulta piuttosto incerto quando sia stato collocato all’inizio della Quaresima, esattamente nel mercoledì, giorno in cui la liturgia di preparazione alla Pasqua invita i fedeli a prepararsi alla festa più importante dell’anno.
Abbiamo la prova che nel 1300 il rito era diffuso e costante; secondo la testimonianza diretta di Jacopo Passavanti, domenicano, contemporaneo di Dante “La Santa Chiesa ci ricorda il primo dì di Quaresima, quando ci pone la cenere in capo, e dice a ciascuno: Ricordati che tu se’ cenere e in cenere tornerai”( Lo specchio di vera penitenza).
L’imposizione delle ceneri come atto di penitenza per le colpe commesse predispone l’animo del cristiano a continuare per tutti i quaranta giorni successivi con digiuni, astinenza dalle carni, preghiere, riti particolati in attesa del grande evento. L’atto stesso rientra in un circuito temporale molto significativo. La cenere, infatti, è quella raccolta nell’anno precedente(la domenica delle palme) dopo la distribuzione delle palme o dei rami di ulivo, bruciandone le foglie e i rami.
Significativa la formula che risale alla Genesi(3,19) nella versione greca dei Settanta, tradotta da S. Girolamo: Pulvis es et in pulverem reverteris, con l’aggiunta : Memento homo quia…( Ricordati uomo che sei polvere e in polvere ritornerai). Nel testo greco, tuttavia, invece di” polvere” c’è “terra”(ghe). L’uomo fu creato con il fango della terra e nel fango della terra tornerà. Forse è più rispondente all’originale greco la formula del rito ambrosiano: Quia cinis es et in cinerem reverteris. Non è escluso che il dotto Girolamo sia stato attratto nella traduzione dall’oraziano
Pulvis et umbra sumus.
Che la Chiesa richiami ogni uomo a considerarsi fragile e inconsistente come la cenere o la polvere dimostra ancora una volta che il suo messaggio parte da lontano e ha come base l’Antico Testamento. Oltre, infatti, che nella Genesi, l’immagine della debolezza dell’uomo è anche, ad esempio, nel Salmo 102, 14(“ricorda che siamo polvere”) e nel Qohelet(“torni la polvere alla terra”, 12,7; “tutte le cose dalla polvere sono tratte e nella polvere ugualmente ritornano”, 3,20)